Il nuovo testo di Enrico Scandurra è da poco uscito per Algra Editore, e aprirà nuove strade sulla poesia come terra in cui accogliere l’essenza della natura umana.
Enrico Scandurra, 28 anni, è giornalista pubblicista. Collabora con vari giornali on-line locali. Per un breve periodo è corrispondente da Letojanni (Me) per il “Giornale di Sicilia” e per il settimanale messinese d’inchiesta “Centonove”. Nel 2013, inizia la sua collaborazione con “La Sicilia”, oltre a lavorare in un’agenzia di comunicazione che si occupa di uffici di stampa nel settore spettacoli e cultura. Dal 2016, è corrispondente cronista da Giardini Naxos per la “Gazzetta del Sud”. Nel dicembre 2011, esordisce con la sua prima raccolta di poesie, Tra ospedale e paradiso, edita da Arduino Sacco, mentre è dell’agosto 2014 la seconda silloge, D’amore e d’altre notti insonni, pubblicata con Città del Sole Edizioni. Organizza eventi culturali con l’associazione “Cinit Cineforum-Primo Piano”, di cui è presidente.Le notti senza respiroè il suo terzo testo. Cura, inoltre, la rassegna letteraria “LIBRIAMOCI” in collaborazione con il Comune di Letojanni e “Archeo Club”.
Scandurra ha fatto esperienza sul campo. Ha fatto la gavetta, e non si è sottratto al confronto con chi ha più esperienza di lui. Nell’attuale società, scrivere per informare in modo corretto ed onesto, è divenuto un ricordo relegato a tempi lontani, di redazioni fumose, e corse contro il tempo per acchiappare, prima di altri, la notizia. Un mondo che sa tanto di letterario; recluso in aneddoti di vecchie glorie. Da rispolverare nelle rimpatriate, per stringersi in un abbraccio e sentirsi ancora parte di qualcosa d’importante. Ma quel modo di fare giornalismo, di dare notizie accertate da fonti valide; quel giornalismo, è stato seriamente messo alle strette dalla “stampa del copia-incolla”. Gli ambienti sono quelli dove è bene avere un pc funzionante, una buona connessione, dopodiché, giù via a confezionar dati. Enrico Scandurra, invece, ha preso il meglio delle esperienze maturate in questi anni, e ne ha fatto un suo tratto distintivo. Certo, la strada è lunga, ardua e in salita. Lo scrittore però mostra carattere, tenacia, e argomenti solidi. La scrittura non è fatta di solo talento, ma è duro mestiere. Fa i conti con ciò che siamo e con ciò che ci ritroviamo a sperimentare. Scandurra, mostra una solida preparazione classica. Essa lo definisce anche nello stile: nitido e cesellato. Uno stile attento ai dettagli. Qui le parole contano e la lingua chiede il conto. Non si lascia nulla d’intentato. Studio severo e prorompente curiosità si riuniscono nei suoi scritti.
La classicità del pensiero unitamente al desiderio di sperimentazione, secondo i moduli moderni – disciolti in apparenti versi liberi –, mostrano il lavoro da fabbro a cui i versi vengono piegati, per dire la sostanza stessa del suo stare al mondo. Le notti senza respiro, è la terza silloge poetica di Scandurra. La struttura è in “Nove Sezioni”, che s’aprono come se per ciascuna di esse, si fosse tenuto uno speciale battesimo. Qui, ci sono epifanìe scaturite da una meditazione non fine a se stessa, ma che s’attacca al lettore, costringendolo a entrare nel mondo dello scrittore. “Nove Sezioni”, ciascuna delle quali contiene un equilibrio numerico di quattro, cinque e sei liriche, per un totale di quarantacinque. Durante la lettura si procede, con voluta lentezza, nella scoperta dei gusti letterari del giornalista e scrittore. Dalla classicità greco-romana all’attualità devastante di Poe e Majakóvskij, sino a lambire le rive di Spoon River e far ridestare la poetica di Dylan, e Fabrizio De André. Li ritroverete nei versi. Li avvisterete, camuffati, in titoli che sono citazioni: come Amore che vieni amore che vai. Ci sono gli omaggi ai grandi della storia: artisti, letterati. Eroi senza tempo, di cui è trascritta la mitologia, quali Che Guevara.
Nel testo di Scandurra, i versi sono passi essenziali e condizionanti per una metamorfosi dell’essere. La parola, così come è la parola poetica, è creazione scaturita da gioco e disciplina. Sono “Notti senza respiro”, perché lo scrittore soffoca nell’insonnia del dover dire; quasi che vari conati lo spingessero a liberarsi da se stesso, vomitandosi l’anima. Sentimenti, passioni, scaturiti dal tentativo di stare a galla e sentirsi affondare, in un ritmo dettato dalla vita stessa. Struggimento per l’amata, e amore per la sua terra; in un salto senza appiglio. Sotto, un materasso di parole attende che lui si distenda, ma gli impedisce di riposare. Quelle lettere, quelle parole, divengono spilli che pungono la carne e lo sospingono a non cedere al sonno, bensì, a giocare una partita a scacchi infinita. La Lingua batte sull’italiano per tormentarlo, da tormentato. E ribatte, giocando con desiderio di bimbo, attaccato al seno della madre e legato al cordone del vernacolo di MADE IN SICILY. Si muove dentro la bocca, sfiorando i denti, e mostrando l’impertinenza di uno schiocco “di versi bifronti, letti in un saliscendi dall’alto in basso e viceversa”.
La Vita, e il suo rovescio, la Morte, con l’occhio fisso sugli umani scellerati ed i finti superuomini, lo assillano. Lo scrittore costruisce un reportage delle umane miserie, e dello splendore di nuovi e vecchi eroi, sublimandoli nei versi. Sono analizzati individui che non sanno d’essere coperti di fango. Viene cantata l’umanità dei diritti negati; straziata da guerre mosse da morte ideologie e pseudo religioni, che celano bassi istinti economici e s’arrampicano sulle vette del potere. Giganti dai piedi d’argilla in una società forsennata, ostinata nella ricerca del superficiale a ogni costo. Cuori di uomini e donne; occhi di bambini dall’infanzia negata. Il respiro si tramuta in ansito asmatico. L’unica terapia è la parola! Cardiotonico per lo spirito.
La parola poetica restituisce il maltolto; rigenera i tessuti lacerati dai soprusi. Il confronto è necessario. Il poeta scende nelle viscere della propria interiorità. Si guarda dentro, impietoso. Solo dopo la discesa, potrà “dantescamente” risalire attraverso gradi e gironi, per offrire, trasformato, una scintilla di redenzione a se stesso e all’umanità stravolta.
Gli accadimenti sono orchestrati mediante il verso, che è libero e leggero poiché risponde a un’accurata esecuzione formale. L’evidenza degli studi classici ritorna a illuminare la pagina. Figure retoriche, metrica e ricercatezza lessicale s’addobbano per danzare con il lettore, che in un rispolvero di echi bejaminiani, traduce e un po’ tradisce.
Lisa Bachis