Domenica 17 novembre. In compagnia di amici, tutti dediti alla fotografia – senza entrare nel merito se sia arte oppure tecnica oppure semplice voglia di cogliere l’attimo, o tutte queste cose insieme e molto di più – sono stata a Roccalumera per assistere all’inaugurazione dei corsi “AFI011” con la premiazione dei corsisti che hanno partecipato al contest. L’atmosfera era effervescente; c’era voglia di stare insieme per parlare di fotografia e per condividere esperienze. Si era in mezzo a tanti volti conosciuti ma la seriosa formalità di certi eventi era bandita. Ci si sentiva tra amici, e basta.
Carmelo Spadaro, membro importantissimo per l’associazione, ha moderato, presentato i corsi e ha introdotto gli ospiti. La presenza dell’amministrazione di Roccalumera con l’Assessore alla “Cultura e Pubblica Istruzione”, Nadia Basile, ha dato l’idea di quanto sia radicata questa associazione qui sul territorio. Il suo intervento mirava proprio ad esaltare il lavoro svolto da “AFI011” in questi anni. Otto anni di incontri e corsi sul mondo della fotografia e sulle persone che questo mondo rendono ricco e vitale.
Mario Pollino, che non ha certo bisogno di presentazioni, data la sua lunga attività nel campo, ha avviato un excursus sul corso del nuovo anno. Applausi e gioia sincera. La partecipazione era reale. Palpabile. Hanno premiato uno dei fondatori dell’associazione: Daniele Casablanca, che negli ultimi otto anni è stato uno dei motori di questa realtà. Si è soffermato sul valore di questa squadra che ha sempre lavorato e lavora, mettendoci tanto cuore.
Io frattanto mi guardavo attorno, seduta in un angolo come piace a me, per osservare e non dare troppo nell’occhio. Immaginate quanta difficoltà, in mezzo a un nugolo di fotografi, che stanno lì pronti a coglierti in un gesto o in un atteggiamento particolare. “Eppure” – ho pensato – “non siamo poi tanto distanti io e loro. Scriviamo del mondo ciascuno con i propri strumenti. Siamo tutti creature narranti”. La sentivo l’impazienza che cresceva. Volevano ascoltarlo, sapere del viaggio appena terminato. Cosa aveva provato; come si sentiva. Qualcuno di loro aveva già sfogliato una copia del libro. Altri lo avevano già incontrato prima. Amici. Erano andati a mangiare un boccone insieme prima dell’incontro e a fare un giro a Savoca. Ma adesso, era tempo di aprire una nuova pagina di questo libro di viaggio. Il viaggio di un “menestrello” della fotografia: Francesco Faraci.
Sono trascorsi quasi due anni dal nostro primo incontro. Erano i tempi di Malacarne ed ora, è tornato con un nuovo bagaglio. Un progetto racchiuso in un testo, edito da Rizzoli, Jova Beach Party. Cronache da una nuova era. Un testo che è parole e immagini, magma di musica e fluidi corporei. Sentimenti, crescita, battiti misti a sabbia. Voci umane e danza primordiale.
Lo conosco dai tempi di Malacarne Francesco, ed eravamo rimasti che lo avrei intervistato per quest’occasione. Avrebbe dovuto essere un’intervista classica, domande precise e risposte precise. Ma poi una volta lì, a Roccalumera, seduta tra il pubblico, ho deciso di godermi anch’io lo spettacolo e la bellezza del suo racconto, che ho riportato qui per farvi assaporare tutta la bellezza contenuta nelle sue parole. Vi anticipo solo che Jovanotti, nell’introduzione al testo, lo ha definito un “fotografo di guerra”, perché stare su quel palco, e in mezzo a quella fiumana umana, è stato come essere in un campo di battaglia. E Francesco, l’indole del reporter – vuoi per gli studi che ha fatto, vuoi per l’attenzione agli altri – se la porta cucita addosso come una mimetica.
- Tutto è partito quando la moglie di Jovanotti mi seguiva su “Instagram” e ha visto le mie foto sui social. Attenzione però, non voglio dire che i social devono sostituire la comunicazione ma se si sa usarli bene sono veicolo enorme. Ti offrono l’Immediatezza e si fanno incontri straordinari perché di solito si pensa che certe persone siano irraggiungibili. Io tutto potevo pensare, tranne di ricevere l’invito a un concerto. E ho scoperto che era un concerto di Jovanotti – artista con cui alla fine sono cresciuto pure io – e che era innamorato delle mie foto. Allora, ci siamo incontrati e mi è stata proposta quest’avventura pazzesca, lasciandomi carta bianca perché a Jova interessava che io esprimessi me stesso. E non avrei potuto fare diversamente. Già a gennaio, sapevo di questo e vi assicuro che tenermi sta cosa per me, è stato un supplizio. Anche perché il “Jova Beach Party” è stato un evento unico e per me, è stata grande responsabilità. Non avevo un copione ma ho deciso di partire dai concerti sul palco, per seguire ciò che accadeva sotto il palco. La gente, gli umori e il sudore. L’incredibile numero di persone; sembrava di essere a Woodstock. Io non volevo comporre un testo sui concerti e alla fine, nel libro vedrete poca differenza tra ciò fatto, ad esempio, con altri miei lavori e ciò che andavo a fare per quell’evento. L’uso del colore e il passaggio dall’immagine in bianco e nero, all’inizio mi hanno lasciato un po’ spaesato ma alla fine ho fatto ciò che sentivo. Immaginatevi avere lì Jovanotti e vederselo davanti in movimento, è stato davanti incredibile. L’empatia che si è creata è stata la medesima di sempre nel mio lavoro. C’era un tappeto di gente ma alla fine l’istinto ha fatto ciò che doveva fare perché ho riconosciuto che quella cosa era mia. Ho ballato mentre facevo le foto – annacavo il culo – io che di solito non ballo. Bisognava spingersi al limite, i tempi erano stretti. Ma nei giorni in cui ero libero prendevo il bus e andavo in giro. E devo dire che, dagli otto ai sessant’anni, l’Italia è un bel paese con la voglia di scrollarsi brutture, ed è diversa da ciò che vogliono farci credere.
Dopo un racconto così, era inevitabile l’applauso, però ciò che mi ha colpito, è che Francesco è sì più maturo, anche nel timbro di voce, ma ha ancora quell’animo da ragazzo palermitano, che ama stare in mezzo agli altri per coglierne il meglio. Prima di farlo continuare per sottoporsi alle domande del pubblico, gli ho chiesto di Atlante Umano Siciliano e lui mi ha detto che è diventato un libro di prossima uscita. Lo step successivo è stato quello di capire cosa sia per lui la fotografia, incalzato dalle domande e dalle riflessioni del prof. Mento; come nel suo stile, Francesco ha risposto diretto e senza troppi giri di parole:
- Una buona fotografia, per me, deve inchiodarti quindi è utile per informarti non in senso giornalistico ma più ampiamente umano. Ci sono diversi livelli di senso. La fotografia salva chi la fa. Essa è stata il fuoco che mi ha evitato il veleno. Il mio istinto mi chiama in causa. Ma non fotografo perché mi sento migliore degli altri. Ogni volta è come un nuovo inizio. Ed ho serie difficoltà a vedermi come un fotografo.
Francesco Faraci – alla fine dell’incontro – è stato premiato e fatto socio onorario AFI01- Roccalumera. Un riconoscimento più che meritato per un talento della nostra Terra; una risorsa per noi che, troppo di frequente, i nostri talenti ce li facciamo sottrarre.
Io, da parte mia, ho sempre visto nel “nero e grigio” delle sue foto molta lirica. Una lirica graffiante e controcorrente. Lui è Francesco Faraci ed è riconoscibilissimo; si è staccato dai modelli con un modo di fotografare irriverente e scabroso con una certa dose di sensualità. Lui usa la macchina fotografica “come strumento per far l’amore con l’umanità”. Francesco Faraci, il “menestrello” della fotografia che, camminando per le vie del mondo, abbraccia l’umanità.