TAORMINA – Sabato 21 dicembre, quinto e ultimo pomeriggio del 2019 con gli incontri dedicati ai fotografi della rassegna “Immagini & Parole”, che torneranno il 10 gennaio 2020. La “Saletta Conferenze” dell’archivio storico cittadino ha ospitato il fotografo palermitano Alessandro Ingoglia e l’incontro si è svolto all’insegna della partecipazione e del confronto da parte delle numerose persone intervenute. Ha chiuso dunque in bellezza, quest’anno, l’associazione “Taoclick”. Merito del lavoro dei suoi “indisciplinati ragazzacci”, perdutamente innamorati della fotografia, e in particolare di Roberto Mendolia curatore di “Immagini & Parole”. Proprio lui, dopo aver preso il microfono, ha ringraziato tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito a dar vita, a questo spazio dedicato alla narrazione per immagini. Il Comune di Taormina, ente patrocinante che ha messo a disposizione la Saletta dell’archivio, retto dalla Prof.ssa Francesca Gullotta; l’UNITRE Taormina che sostiene varie iniziative volte a trasmettere il nostro ricco bagaglio culturale; il gruppo nutrito di fotografi tra cui “AFI011” di Roccalumera; lo sponsor “FDD” di Caterina Lo Presti e il giornale “JonicaReporter” diretto da Valeria Brancato, media partner degli eventi.
Alessandro Ingoglia – palermitano eclettico come lo sono, a dire il vero, moltissimi siciliani – ha esordito, ringraziando per l’invito ricevuto ed ha subito mostrato un’indole pacata ma decisa, con un’esposizione della sua avventura nel mondo della fotografia molto coinvolgente, raccontando i suoi esordi e le sue origini:
Io fotografo, perché sono da sempre a contatto con l’arte, dalla pittura alla musica. Oggi preferisco esprimermi attraverso la fotografia così da poter raccontare quello che accade attorno a me, quando viaggio, o più semplicemente quando cammino per le strade della mia città, con uno scatto, un “click”. Per perfezionare la mia tecnica ho seguito i corsi di “Palermofoto” e i workshop di Patrice Terraz, Sandro Iovine, Antonio Manta e Fausto Podavini e soprattutto leggo le foto dei grandi fotografi del passato e del presente. Quello che vi proporrò questo pomeriggio sarà un viaggio a ritroso nel tempo. Partirò dall’ “Anima dei Pupi”, un progetto che seguo da tre anni e non è ancora concluso. Questa è la storia della famiglia di Salvatore Bumbello ed è nata per caso. Provengo dal mondo della musica, ed essendo musicista, ho molti amici musicisti. Una di essi mi chiese di far qualcosa come compositore e venni invitato al “Festival delle Marionette” incontrai Salvatore e dato che lui era lì per lavoro, nacque anche l’idea di fotografarlo. Lui è abituato, è conosciuto in tutto il mondo. Da lì, il progetto maturò pian piano. Andavo nella sua bottega minimo una volta a settimana. Nell’audiovisivo che vi mostrerò non ci sono pose ma si vede il lavoro della bottega sino alla messa in scena dei Pupi. Si tratta di un progetto a quattro mani, che rappresenta la vita di Salvatore che a 12 anni ha costruito il primo pupo; a 17 è rimasto orfano. A 19 anni è diventato padre. Salvatore, che non è tanto più grande anagraficamente di me, ha però acquisito un’esperienza tale di vita vissuta che da lui si può solo imparare. È un amico. E per me, è importante questo progetto perché mi riporta alle mie radici familiari. Rivedo mio nonno che lavora il legno perché era un falegname; ritrovo nella pittura dei pupi mio padre, che era pittore.
La tradizione dei Pupi siciliani è consolidata da secoli di storia. Essa rappresenta il compromesso tra l’arte teatrale più elevata e la rappresentazione del teatro di strada, riservato alle classi umili. Le marionette provengono dall’ispirazione franco provenzale, che metteva in gioco non solo una rappresentazione scenica ma il passaggio dalle eloquenti lingue colte, alla nascita e alla trasformazione del volgare. L’Opera dei Pupi contiene il passaggio da forme linguistiche riservate a pochi a una lingua comune che con il passare del tempo fa tesoro dei dialetti. Nata dalle ispirazioni offerte dall’epica cavalleresca con le “Chansons de geste” i poemi francesi medievali, raggruppati dagli studiosi in diversi cicli (di crociata, di provincia, di feudo) o classificati in serie cronologica. Tra questi, la “Chanson de Roland” è la più antica e importante del Medioevo francese. Composta tra XI e XII secolo, narra la morte del paladino nella battaglia di Roncisvalle per il tradimento di Gano. L’epica narrazione dei paladini, che contrastano gli infedeli saraceni, serviva ad alimentare la fiducia popolare nel potere reale e nella Chiesa cattolica, vista come unico baluardo a difesa della Cristianità. La tradizione dell’Opera dei Pupi è strettamente connessa a tale ciclo, e diventerà costante a partire dal XVI secolo sotto gli Spagnoli, in particolare nel Meridione e in Sicilia, sino a trovare una collocazione sui palchi teatrali nel XIX secolo, quando l’artigianato artistico dei carretti e quello dei cantastorie si ritroveranno uniti all’arte dei Pupi e nascerà l’interesse dei viaggiatori del Grand Tour per il folklore. Grande contributo, in tal senso, darà l’etnoantropologo Giuseppe Pitrè. I pupi siciliani e le famiglie dei pupari godranno di fama e andranno per il mondo a rappresentare un teatro nazional popolare, che ben si accosta allo spirito romantico, amante della storia medievale e curioso di luoghi considerati esotici con multiformi colori e dialetti. Le marionette, in legno e con armature arabescate, dipinte in modo da riconoscere i diversi personaggi dagli abiti e dai tratti somatici, acquisiscono differenze che variano da luogo a luogo. In particolare, si distinguono le due scuole: quella catanese e quella palermitana. Nella prima, i pupi sono più grandi e pesanti e devono essere manovrati dall’alto. Nella palermitana, il pupo ha dimensioni inferiori. I pupari che sono i costruttori diventano anche “manianti” e “parraturi” ovvero li muovono e gli danno la voce.
Nell’audiovisivo di Alessandro Ingoglia, in sottofondo, si sentono i suoni della bottega che dettano il ritmo del lavoro. La voce narrante è quella di Salvatore Bumbello che ci parla della sua vita di puparo. Nella scuola palermitana le parti più importanti le recita il primo puparo. Alessandro Ingoglia terminata la visione di questo viaggio nel mondo dei pupi, spiega le dinamiche del progetto:
La scelta di titolarlo “L’Anima dei Pupi” l’avete ascoltata dalle parole di Salvatore stesso che dice: «Noi diamo l’anima ai pupi». Ho scelto, infatti, per quello che sta per diventare un testo, la prima parte delle foto in bianco e nero, perché meglio rappresenta la dotazione dell’anima da parte del puparo. Se si vuol fotografare l’anima, essa è in bianco e nero, impalpabile. Nella prima parte, assistiamo alla costruzione della marionetta, al lavoro della creazione dal disegno al legno che prende forma. Nella seconda parte, invece, saranno i colori a dominare perché i pupi sono finiti e pronti per lo spettacolo. Salvatore è il più giovane tra i pupari e per questo merita molta attenzione; poi ci sono i Cuticchio, noti in tutto il mondo.
Nel progetto di Ingoglia vien fuori l’ossatura di antiche tradizioni familiari, fatte di legami genetici ma ancorate all’anima della città. Qui vi è una sapienza antica che rischia l’estinzione, anche per questo l’opera dei pupi è stata dichiarata “Patrimonio Immateriale” dall’Unesco. Salvatore insuffla l’anima ai suoi pupi che sono figli anch’essi. Ma è la voce, donata durante gli spettacoli, che perfeziona l’opera di creazione. Il “Pupo”, da “cosa”, diviene “creatura” attraverso la voce del puparo e quella voce riporta a galla l’anima del pupo, sopita dentro la marionetta in attesa d’essere destata. Alessandro Ingoglia lo fa presente, più volte, durante l’incontro:
Le mie sono foto di reportage, che raccontano e non è Fine Art. Salvatore per me, è Geppetto, la Fata Turchina e il Grillo Parlante insieme. Il papà falegname; la fatina che dà vita al burattino di legno e il grillo, coscienza del Bene e del Male. L’anima dei pupi è un progetto fotografico che va nel profondo di un’arte antica che dura da circa due secoli. Un’arte che si tramanda di padre in figlio. L’anima dei pupi è uno spaccato di Palermo e di una delle sue più antiche tradizioni: come nasce e prende vita un pupo siciliano attraverso le sapienti mani di Salvatore Bumbello. Salvatore, infatti, oltre ad essere l’esponente più giovane di questa arte a Palermo con la sua compagnia “Opera dei pupi Briglia d’oro” mette in scena il ciclo classico delle avventure dei cavalieri di Francia al tempo di Carlo Magno e crea nuovi pupi per storie originali che lui stesso mette in scena. Salvatore come vuole la tradizione coinvolge anche i suoi figli e alcuni nipoti in questa attività facendo sì che un domani possano portare avanti e sviluppare la tradizione familiare.
Conclusasi la parte dell’incontro dedicata ai pupi, Ingoglia ci conduce ad altri aspetti del suo percorso, aprendoci finestre che, dai colori della Cina, ci riportano al bianco e nero della Palermo di Ballarò, per puntare l’occhio gettato alle tradizioni religiose siciliane come “I Misteri di Trapani”:
Posso affermare che fotografare a colori è più difficile, Steve McCurry che è il re del colore lo dimostra. Ho fatto un progetto a colori sulla “Cina” e con una delle foto ho partecipato e vinto il Concorso “National Geographic”. L’audiovisivo è la selezione delle immagini scattate in Cina, fotografie che hanno ispirato la mia amica musicista Valentina Casesa a comporre un brano, usato come base musicale nel video.
Osservando le immagini e ascoltando la musica del video, emerge l’apparente contraddizione poetica tra l’immenso paesaggio e le fotografie sulla frenetica vita delle città cinesi. Contraddittoria poesia che rappresenta la complessità di questo popolo. Ingoglia conferma le nostre impressioni:
Quando fotografo guardo sempre come se fosse la prima volta. Questo ho fatto durante il viaggio in Cina e soprattutto in quei luoghi tanto distanti. Ho adottato la “Poetica del fanciullino”. Ho cercato per accumulare ricordi di viaggio ma racconto la Cina dall’ambito della strada. Si tratta di un lavoro composto da tante storie; ogni foto è una storia.
In effetti, ogni scatto apre un capitolo nuovo, come la foto della bimba addormentata per strada, che sembra una bambola abbandonata da chissà chi oppure il bimbo sorpreso e alle sue spalle la vetrina di un negozio di peluche o ancora le donne sedute a chiacchierare sotto l’ombrellone, immerse nell’acqua del fiume. Il fotografo palermitano che ci ha fatto viaggiare e ci ha regalato un pomeriggio prenatalizio speciale, prima di lasciarci, ci offre altre considerazioni sul rapporto che ha con il mondo della fotografia:
In tutto l’Oriente, le persone dormono per strada. Le foto della Cina sono del 2015. Quando ho scattato “Cina” non potevo che vedere a colori. Io fotografo quasi sempre con il 28 millimetri e questo progetto è diventato prima una mostra e dopo un catalogo. In realtà, ho iniziato a fotografare a pellicola, e alcuni di questi scatti li ho nominati “Paesaggi scomposti”. Sono alcune foto panoramiche che hanno come soggetto Firenze. Un embrione di progetto. Invece il lavoro in bianco e nero su Ballarò è durato diversi giorni. La prima foto, è quella che ritrae il signor Antonio, negoziante di olive che mi ha accolto in un giorno di pioggia. Il progetto però vede fotografati gli avventori. Quindi le foto sono dalla parte interna e immortalano i vari tipi di persone che acquistano, assaggiano e chiedono le olive. Ho tenuto la macchina all’altezza della pancia perché il piano era rialzato e non guardavo quasi mai in camera. Non tutti vogliono essere fotografati e diverse foto ho dovuto cancellarle.
Eppure questo lavoro su Ballarò, senza troppo studio dietro, è interessante. Qui c’è molta anima e vita di popolo. Si può dire che è “Street Photography” e Alessandro Ingoglia lo sottolinea con questa frase: «Le regole vanno assorbite e poi dimenticate».