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Taormina a Natale. Alcuni itinerari tra arte e relax

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Foto dell'Autrice

Taormina è magia. In questo particolare periodo dell’anno lo è di più. Complici le luci naturali del periodo invernale mescolate ai toni caldi degli addobbi. L’atmosfera è invitante e predispone a fare rilassanti passeggiate, concedendosi soste e visite ai suoi storici palazzi e nelle sue caratteristiche viuzze, abbandonando la centralissima strada dello shopping, il Corso Umberto, per poi tornarvi e proseguire in una lenta passeggiata nell’incantevole centro storico. Numerose sono le iniziative del programma natalizio 2019, tra esse vi sono diverse e interessanti esposizioni d’arte che vanno dal contemporaneo al tuffo nelle tradizioni. Ogni angolo ha, in sé, un dettaglio immerso in un impianto urbano che mantiene il fascino della storia e della narrazione che ne proviene. Paesaggio, memorie del passato e aria di festa accompagneranno i visitatori cingendoli nell’abbraccio di una Città, che da secoli è predisposta all’accoglienza.

Chi ha lasciato l’auto al Park Porta Catania, o chi soggiorna in una delle strutture ricettive del luogo, potrà iniziare un itinerario tra arte e relax, visitando ad esempio la mostra “White Noise”, inaugurata nella sala all’ultimo piano della “Fondazione Mazzullo”, all’interno del gioiello medievale di Palazzo “Duchi Di Santo Stefano”, il 13 dicembre scorso e visitabile sino all’8 gennaio 2020. Un’occasione per godere sia della pregevole esposizione sia per farsi corteggiare dalle opere esposte del Maestro Giuseppe Mazzullo. La mostra “White Noise”, ha ricevuto il patrocinio del Comune di Taormina ed è stata promossa dalla “Proloco”. L’allestimento curato e attento ai dettagli, raccoglie le opere di Paolo Greco, Francesco Rinzivillo ed Enzo Rovella.

La scelta di titolarla “White Noise” – rumore bianco – è un invito a soffermarsi sui vari aspetti della società contemporanea e sui suoi mali. L’apparente contrasto tra le pietre antiche del palazzo, le opere impregnate di lavica materia di Mazzullo e il bianco suono di sottofondo, offerto come frequenza stranante al visitatore, immergono la mente e lo sguardo in un percorso, che sembra straniante ma che è d’ausilio per la comprensione del soggetto del XXI secolo. “White Noise” giunge, come un messaggio agli artisti, dal romanzo dello scrittore americano Don DeLillo, edito nel 1985. Greco, Rinzivillo e Rovella sono noti per la continua ricerca e l’impulso alla sperimentazione nel complesso mondo del linguaggio artistico.

DeLillo, nel testo, ha messo “nero su bianco” le contraddizioni, della seconda metà del Ventesimo secolo, che hanno condotto inesorabilmente alla società attuale. “White Noise” esplora diversi dei temi emersi durante la seconda metà del XX secolo, fra i quali il consumismo, la saturazione mediatica, la tuttologia e la dispersione dei tradizionali valori familiari oppure l’ipocondria, la fuga dal reale e l’acuirsi della violenza. L’esposizione dei tre artisti si aggancia a questo “rumore bianco” e lo rende visibile per far capire quanto spaesante sia la società attuale, in cui la disintegrazione dello spazio privato viene rinviata al globale, in cui condividere significa essere. Lo scrittore statunitense, quando uscì il testo ebbe a dire:

«In White Noise in particolare, ho cercato uno squarcio di luce nel quotidiano. A volte, è una luce quasi spaventosa. Altre volte, può diventare quasi sacra… Il nostro sentimento di paura, lo evitiamo perché lo avvertiamo a un livello molto profondo, e ciò provoca un conflitto intenso… Credo che sia una cosa che avvertiamo tutti, ma di cui non parliamo mai, una cosa che c’è e non c’è. Ho cercato, in White Noise, di collegarla a un altro sentimento, quel sentimento di trascendenza che resta appena al di fuori della nostra portata. Questo straordinario miracolo della realtà è in un certo senso connesso al timore straordinario che è la paura della morte, che tentiamo di mantenere al di sotto della superficie delle nostre percezioni».

Allora la via che Greco, Rinzivillo e Rovella ci offrono non è solo di straniamento; essa possiede l’accesso a un’apertura che è quella tratteggiata nel romanzo. Non una facile via di fuga ma una meditata riflessione sull’uomo e i suoi timori più profondi, in una società che invece li sospinge dietro un pesante drappo nero. “White Noise”, il suono prodotto dalla somma di tutte le frequenze udibili, diviene per analogia con il bianco ottico, somma di tutti i colori dell’iride.

Questo suono che è frequenza anestetizzante, si riversa nel bianco ottico delle opere esposte e dopo aver messo il fruitore di fronte a se stesso, lo sostiene verso un’ascesa di recupero. 

 

Tra le varie ipotesi, infatti, vi è quella che il “rumore bianco” possa avere un effetto analgesico e rilassante. Esso esiste anche in natura: è il mare che si infrange sulla battigia, il soffio del vento, lo scroscio della pioggia durante i temporali. Sono tutti suoni che suscitano nel nostro organismo la produzione di adrenalina e di endorfine, agendo come “stupefacenti” naturali. Quindi la funzione guaritrice dell’arte è il sottofondo dell’esposizione. La giusta frequenza che riassetta l’essere e lo rimette in equilibrio. Sebbene si tratti di un equilibrio precario, così come lo sono la precarietà e il senso di passaggio, ossatura della vita umana, che né le trovate virtuali né l’ipertecnologia riusciranno mai del tutto a celare.

 

Dall’arte contemporanea a quella con suggestioni della tradizione sacra, l’itinerario prosegue dopo aver percorso il Corso Umberto sino a giungere in Piazza IX Aprile, da molti ribattezzata “piazza belvedere” per la stupefacente visione della Baia di Naxos e dell’Etna. In un luogo come questo, che già catturerà l’attenzione facendo indugiare in una benefica sosta, vi è l’ex convento agostiniano del XV secolo. Edificio restaurato, dove hanno sede la Biblioteca e l’Archivio Storico, la cui chiesetta con il campanile gotico è stata prima sala consultazione ed ora sala esposizioni. All’interno della “Sala Di Giovanni”, sempre il 13 dicembre scorso è stata inaugurata la mostra “ICONE. Tradizione/Contemporaneità” dopo la prima esposizione al “Museo Diocesano” di Monreale, e sarà visitabile sino al 18 aprile 2020. La mostra è a cura di Francesco Piazza, che ne è l’ideatore insieme a Vassilis Karampatsas, coordinatore dell’intero progetto, e da Giovanni Travagliato occupatosi della sezione sulle icone storiche. La Grecia è rappresentata dagli artisti: Manolis Anastasakos, Dimitris Ntokos, Nikos Moschos, Kostantinos Papamichalopoulos, Zoi Pappa, Christos Tsimaris, mentre gli artisti siciliani sono: Giuseppe Bombaci, Sandro Bracchitta, Giorgio Distefano, Roberto Fontana, Antonino Gaeta e Ignazio Schifano.

I curatori hanno tenuto a sottolineare le finalità dell’originale esposizione:

«La mostra vuol coniugare l’antico con il contemporaneo. Questo il concept del progetto, organizzato dalla Comunità Ellenica “Trinacria” di Palermo con il Patrocinio dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, dell’Arcidiocesi di Monreale e dell’Arcidiocesi di Messina, Lipari, Santa Lucia del Mela con la collaborazione del Parco Archeologico di Naxos-Taormina, dell’Università degli Studi di Palermo – dipartimento Culture e Società e quella di Messina e delle Soprintendenze di Palermo e Messina, dell’Ambasciata di Grecia a Roma, del Consolato di Grecia a Catania. Fortemente voluto dal Presidente della Comunità Ellenica Haralabos Tsolakis e dall’Assessore alla Cultura Francesca Gullotta e da tutta l’Amministrazione Comunale di Taormina. Il progetto si arricchisce così di un’ulteriore tappa, in un territorio ricco di testimonianze dell’arte greca e bizantina. Nella Sala “Giovanni di Giovanni” –, proseguono gli organizzatori nella nota stampa – incorniciate dai numerosi libri che compongono uno dei Fondi antichi più importanti della Sicilia, hanno trovato posto alcune tra le più suggestive Icone della Sicilia Nord-Occidentale, realizzate da iconografi greci che si trasferirono nell’Isola tra il XVII e il XVIII secolo, i quali riuscirono a creare grandi capolavori, tutt’ora conservati nelle chiese di Piana degli Albanesi e Mezzojuso. Tra queste merita una menzione speciale la “Epì soi chaìrei” tavola raffigurante il Theotòkion, antico inno alla Madre di Dio, attribuito a San Giovanni Damasceno, e la Croce astile bifacciale proveniente da Mezzojuso, una croce processionale finemente decorata con i temi di “Staùrosis” (la crocifissione) e la “Anàstasis” (la resurrezione), senza dimenticare la splendida “Madonna Odighitria”, del maestro Joannikios da Cornero, proveniente dal Museo Diocesano di Monreale. Alle icone storiche, si affiancano 12 opere contemporanee di artisti siciliani e greci che si sono misurati con il tema sacro reinterpretandolo. Del Comitato scientifico della mostra fanno parte: Michele Bacci, Università di Fribourg; Lina Bellanca, Soprintendente BB.CC.AA. di Palermo; Maria Concetta Di Natale, Università degli Studi di Palermo, Direttore Museo Diocesano di Monreale; Enzo Fiammetta, Fondazione Orestiadi di Gibellina, Direttore Museo delle Trame Mediterranee; Antonio Iacobini, Università di Roma “La Sapienza”; Pierfrancesco Palazzotto, Università degli Studi di Palermo; Lisa Sciortino, Museo Diocesano di Monreale; Emma Vitale e Maurizio Vitella Università degli Studi di Palermo; Mario Zito, Direttore Accademia di Belle Arti di Palermo».

Un breve itinerario tra presente e passato; protagonista privilegiata Taormina che, abbigliata da gran signora, abbraccia tutti coloro desiderosi d’osservarla da nuovi punti di vista, con l’invito a godere di corroboranti pause tra l’arte e la bellezza di un luogo unico, in totale relax.

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