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giovedì, Gennaio 23, 2025

“Passata la festa gabbatu lu santu”. Riflessione post pasquale al tempo del Covid-19

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Foto di Rogika

Strane e stralunate queste giornate. Stamattina, al risveglio, il cielo era leggermente velato ma il sole annunciava una giornata di Primavera. D’improvviso, tutto è cambiato. Ora, il cielo è imbevuto di lanugine bianca quasi a voler assorbire le tante lacrime che ci sono in giro. Ve ne sono tante; troppe!

Mi inchiodo da giorni alla riflessione, costringendomi ad un’altalena di umori ed emozioni. Condivido ansie e preoccupazioni con gli affetti. Si prova a reagire, ce la stiamo mettendo tutta. Ci si inventa il quotidiano, ci si reinventa. Lo si fa perché il nostro scopo di esseri in adattamento, per la sopravvivenza, ci sospinge verso l’attaccamento alla vita. Sono tempi plumbei nonostante il sole e i tentativi di darsi speranze e prospettive.

Il detto, noto da noi al Sud recita: “Passata la festa gabbatu lu santu”. Ho ancora strette nell’iride le immagini della veglia pasquale. L’immensa solitudine di una piazza, San Pietro, che non ha potuto accogliere i fratelli e le sorelle provenienti dal mondo. La sospesa malinconia della Basilica e al centro di tutto, seppur ripiegato su se stesso in un immobile atto di dolore, lui. L’uomo, il Pontefice: Papa Francesco. Gli accostamenti alla figura immensa di Giovanni Paolo II; il dirompente attraversamento di quest’epoca blindata restituiscono di Francesco un’immagine ancora più cristiana. Quella del Gesù “ultimo” che si dirige verso la trasparenza di un Cristo velato.

La Pasqua è passata da qualche giorno ed oggi mi giunge all’orecchio il sussurrìo di parenti scomparsi, che mi dicono: «Lisa, passata la festa gabbatu lu santu».

Pasqua è la festa dei cristiani, dà la ragione intima per cui esiste il Cristianesimo e con esso il senso della comunione, della carità, della pietà e del perdono. Significa “passaggio”. La data varia di anno in anno e dipende dal plenilunio di primavera; la sua radice è legata al mondo ebraico: alla festa di Pesach, durante la quale si celebrava il passaggio di Israele, attraverso il mar Rosso, dalla schiavitù d’Egitto alla libertà.

Pasqua indica il “passare oltre” e per i cristiani essa raccoglie le tracce del passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo. Strettamente legata, nella sua essenza ebraica, alle attività agricole e di raccolta delle primizie, assume per i cristiani il senso della nascita dell’uomo nuovo, mondato da tutti i peccati attraverso il sacrificio estremo e finale del Dio che si è fatto uomo ed ha salvato gli uomini. Sant’Agostino asserisce che la veglia pasquale è «la madre di tutte le veglie sante, durante la quale il mondo intero è rimasto sveglio».

Il mondo è sveglio da tempo, oramai. Costretto a confrontarsi con la verità dei fatti. Siamo esseri umani, non siamo infallibili, siamo mortali e stiamo sbagliando ancora perché “Passata la festa gabbatu lu santu”. Dimentichiamo velocemente, spinti come siamo a guardare oltre senza far tesoro degli insegnamenti ritrovati sulla nostra via. Ma ciò non ha a che fare con il mero istinto di conservazione; è che siamo intrinsecamente egoisti, abbiamo dimenticato il senso vero di stare su questa Terra. Madre Natura ci ha dato un monito eppure siamo come quei ragazzi di strada che magari si fanno la galera quando vengono beccati, tanto sanno che torneranno a fare la vita di prima, una volta usciti dal carcere.

Ho riportato tale esempio, spinta anche dal contenuto delle funzioni pasquali di quest’anno dove Papa Francesco ha insistito sull’importanza degli ultimi, dei reclusi e di chi sta facendo il proprio dovere, spinto da una nuova vocazione: preservare la vita. Perlomeno ci sono uomini e donne nuovi, esistono così come esistono i nostri bambini ed esistono, anche se li stiamo perdendo per colpa del nostro incurante egoismo, i custodi del nostro patrimonio genetico: gli anziani.

Era il primo giorno dopo il Sabato – il giorno di riposo nella tradizione ebraica – quindi il giorno importante per i cristiani: il giorno del Signore, la Domenica, Maria di Magdala, Maria di Cleofa e Salomè, sistemati gli unguenti profumati per preparare il corpo di Gesù si recarono al sepolcro, la mattina presto, per completare le unzioni del corpo e la fasciatura. Preoccupate di non riuscire a spostare la pesante pietra circolare, che chiudeva il sepolcro, si chiedevano a chi chiedere aiuto. Una volta giunte alla tomba vi fu un terremoto, un angelo sfolgorante scese dal cielo, si accostò al sepolcro fece rotolare la pietra e si pose a sedere su di essa. Persino i soldati posti a guardia del luogo, terrorizzati, svennero. Fu allora che l’Angelo si rivolse alle donne sgomente, e disse loro: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete». Il passo è tratto dal Vangelo di Matteo. Le donne divengono messaggere del messaggero più sacro: l’Angelo di Dio, portando avanti il pensiero rivoluzionario di Gesù. Le donne si allontanarono di corsa per dare l’annunzio ai discepoli. Quindi sono donne nuove che hanno la cura dei vivi e dei morti ma che hanno la responsabilità di trasmettere un messaggio di rifondazione del mondo e della Terra. Le donne sono legate, più di tutti alla Terra, per via della loro essenza che è creatrice e custode di Vita. Il pensiero cristiano di Gesù pone le donne al centro del cambiamento. Si rifletta bene anche su questo perché oggi dovremmo essere qui a parlare di donne e uomini nuovi e invece: “Passata la festa gabbatu lu santu”.

Nel corso della Notte Santa del Sabato, la Chiesa celebra la Resurrezione di Cristo, battezzando i nuovi cristiani e domandando a coloro che già lo sono, di rinnovare tutti insieme gli impegni del loro Battesimo. Ma dato che “Passata la festa gabbatu lu Santu”, un colpo di spugna sembra aver già cancellato tutto. Però io lo vedo ancora il volto assorto di Francesco. Vedo i suoi tratti, tirati dalla sofferenza, nell’invocazione di un perdono che ci dia la possibilità di essere donne e uomini nuovi. Sento il suo grido muto simile a quello del Figlio sul Gòlgota che si sente abbandonato dal Padre.

Tuttavia, noi – che siamo rapidi nel dimenticare e ancora più veloci nel sostituire il superfluo con altro superfluo – in questi giorni abbiamo ascoltato altre parole. Esse si sono sostituite a quelle del Pontefice, e devo dire che ce le meritiamo tutte. Sono quelle dette da Francesco Guccini – un altro Francesco più terragno ma fedele ad un comunismo delle origini – che il 13 aprile, Lunedì dell’Angelo, ha rilasciato un’intervista riportata dall’ANSA:

Francesco Guccini, ospite di “Un Giorno da Pecora”, su Rai Radio1, ha raccontato come sta passando questo periodo di “lockdown” causato dall’emergenza Covid-19.

Cosa sta facendo in questo periodo di isolamento forzato?

Quello che facevo prima, più o meno. Mi muovo poco, ascolto audiolibri, scrivo e guardo un po’ la tv.

Ascolta molta musica?

No, non la ascolto da anni, niente. Non suono neanche più la chitarra, credo di non esserne più capace, ammesso che lo fossi stato.

Quale sarà la prima cosa che farà quando l’emergenza Coronavirus sarà terminata?

Sicuramente andrò al ristorante con qualche amico.

In tanti oggi sostengono che quando tutto questo sarà finito saremo migliori. Lei ci crede?

No, non ci credo. Anche dopo l’11 settembre si diceva che sarebbe cambiato tutto ma non è cambiato nulla.

È la storia che non insegna o gli uomini che non imparano?

Tutte e due le cose.

E quindi non impareremo nulla neanche stavolta?

Temo proprio di no, sono abbastanza cinico da questo punto di vista. È nella natura umana il dimenticarsi presto delle tragedie passate per riprendere la vita di sempre.

 Il 14 giugno lei compirà 80 anni. Forse saremo in una fase in cui potrà anche organizzare una festa.

Quando si compiono 80 anni non è che ci sia tanta voglia di fare grandi feste… Certo, è sempre il mio compleanno ma 80 anni sono tanti!

Guccini ha espresso un pensiero dettato da esperienze di vita, e per questo gli siamo infinitamente grati, che si può quindi efficacemente riassumere in: “Passata la festa gabbatu lu santu”.

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