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mercoledì, Gennaio 15, 2025

FOTO… GRAFIA. “CAMERE CON VISTA”: SAVOCA E FILIP

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Foto di Angelo Savoca

L’associazione fotografica “Taoclick” può ritenersi più che soddisfatta per il crescente e positivo riscontro che sta ottenendo con l’appuntamento social di “CAMERE CON VISTA”. L’idea, proposta da Rocco Bertè e subito accettata e condivisa da Roberto Mendolia (Rogika) in qualità di curatore e moderatore insieme a Bertè, vede uniti con l’intento di avvicinare al linguaggio fotografico semplici appassionati e professionisti. Il format trova l’importante contributo di Alfio Barca e Augusto Filistad, fondamentali nel regolare “il dietro le quinte”. Con l’immediato messaggio di #contagiofotografico e #iorestoacasa le camere virtuali divengono luoghi di incontro non solo per gli ospiti che si susseguono ma per il numeroso e affezionato pubblico che ascolta, guarda, condivide impressioni e domande. “JonicaReporter” diretto da Valeria Brancato ha rinnovato il proprio supporto in qualità di media partner.

Giovedì 30 aprile e domenica 3 maggio si sono dati appuntamento Angelo Savoca e Catalina Filip. Il primo, fotoamatore di lungo corso, la seconda, fotografa professionista; entrambi legati all’idea del “viaggio”. Naturalmente, viaggio, visione e narrazione sono elementi onnipresenti in chi fotografa, tuttavia ciascuno assembla e caratterizza tali elementi in una struttura linguistica differente. Non mi stancherò mai di sottolineare, infatti, la funzione linguistica, sociale e di formazione della fotografia.

Angelo Savoca ha conosciuto la fotografia e ne è rimasto irretito sin da ragazzo, quando i turisti – quelli che ancora potevano dirsi viaggiatori “tout court” – venivano a soggiornare e a conoscere la Sicilia, memori delle descrizioni lasciate dal Grand Tour. Savoca faceva parte di una famiglia taorminese di persone umili e grandi lavoratori, qualità che ha trasfuso nella sua successiva attività di ristoratore. Alla base per lui, c’è il senso dell’accoglienza e dell’ospitalità, avendo fatto la gavetta sin da giovanissimo e avendo faticato senza lamentarsi troppo. La fotografia lo ha sempre accompagnato, mosso da vivo interesse per ogni angolo della sua terra e non solo. Angelo Savoca incarna alla perfezione il concetto di “viaggiatore” che s’accosta a luoghi e persone con spirito di apertura e conoscenza. Ha iniziato con l’analogico e le diapositive; pure oggi, usa la tecnologia con cautela. Il concetto di post produzione, per lui, si esplicita già con la messa a fuoco del soggetto e con la composizione della scena, in un agire più intuitivo che studiato. Ed è per questo, che giustamente può essere visto come un antesignano della “Street Photography”. Fotografa ciò che vede, documenta e alimenta il suo archivio copiosissimo, il quale potrebbe prestarsi a diventare oggetto di studio per chi abbia voglia di approfondire la storia della fotografia. Predilige il colore perché ha una visione a colori del mondo e viene considerato “l’amico di tutti”. Basti pensare a quanti tornano a trovarlo al ristorante e intrattengono con lui rapporti amicali; basti pensare alla consolidata amicizia con Rocco Bertè, ai viaggi fatti insieme e al confronto profondo e rispettoso che li unisce. Angelo Savoca ha viaggiato molto e della Sicilia, in particolare, ha documentato il massimo, sapendo bene che il lavoro non può mai dirsi concluso. Paesaggi che dal mare si inerpicano tra le montagne per abbracciare colline, che a tratti sembrano irlandesi. Persone, mestieri, tradizioni e volti che donano espressioni pur nell’immobilità apparente dei tratti. Parla la pelle della gente, parlano gli occhi acquosi e parlano le mani. Da noi, le mani sono protagoniste da sempre, sia per la trasmissione dei sentimenti sia per l’esperienza che diffondono. Feste, sagre, processioni, case, circoli, mestieri e artigianato. Saperi che ancora resistono perché anziani le coltivano così come si coltiva la terra e alcuni giovani hanno compreso il valore di questi tesori. Angelo Savoca, è fondatore del “Photo Club Naxos”, da anni è in contatto con altre associazioni fotografiche siciliane, ha sempre messo a disposizione tutto se stesso per raccogliere informazioni, ed ha anche pubblicato diversi testi: delle guide per aiutare i turisti ad orientarsi. L’accoglienza è ciò che lo contraddistingue nel suo modo di operare. Pur di andare nei vari luoghi, a fotografare momenti di vita legati ai diversi territori, fa i salti mortali per conciliare il lavoro di ristorazione con l’imperitura passione per la fotografia. Inoltre, ospita esposizioni di altri fotografi nella sala interna del suo ristorante sul lungomare di Giardini Naxos, “La Taverna Naxos”, e colleziona cappellini di ogni parte del mondo.

Le foto di Savoca non sono solo belle ma ben fatte. Possiede un’innata visione fotografica del mondo e una gentilezza che può solo far bene a noi tutti. Tra le numerose foto che ci hanno affascinato lo scorso giovedì, una, in me, ha lasciato il segno: quella della “barberìa” di Motta Camastra. Un museo della fotografia dentro il salone di un barbiere, che ha la funzione di aggregatore per la comunità così come lo hanno i baretti di paese. Se si vogliono avere informazioni di prima mano, bisogna andare dal barbiere o dalla parrucchiera e naturalmente al bar. Dico questo come augurio per tutte le nostre attività di piccola e media imprenditoria che fanno la ricchezza dei nostri luoghi e che sono antiche professioni. Nella “barberìa” di Motta Camastra, ci sono anche le foto di Angelo Savoca, e mi piace considerare le sue foto di vita naturale e umana un balsamo per i nostri occhi, saturi di stimoli ma ciechi innanzi al linguaggio universale di Madre Natura.

Ed ecco che il legame con Catalina Filip e Angelo Savoca si fa più evidente, seppur ripreso da differenti angolazioni: il viaggio, l’apprendimento e l’atteggiamento umile innanzi ai misteri del Mondo.

 

Catalina Filip, fotografa professionista, nata a Constanța in Romania, vive in Italia da vent’anni e quando non è in giro per lavoro, risiede a Benevento. Prima faceva l’agente di commercio, cosicché il movimento e il viaggio hanno, da sempre, fatto parte del suo vissuto esperienziale. Già allora portava con sé la macchina fotografica. Anche lei è partita dall’analogico, dalla pellicola dalla post produzione in camera oscura e dagli scatti dove la pazienza è una regola basilare.

Mi piace accostare l’immagine di chi fotografa a quella dei pescatori: sprofondati nei loro pensieri; vigili e immersi in un tempo senza lancette. Per loro, il pescato è lo scatto che porteranno a casa. In certo qual senso e più ampiamente, la fotografia è un’azione di pesca o di caccia seppur con armi atte a non offendere e con una funzione salvifica. Richiede perseveranza, fatica, sudore, appostamenti e movimento di gambe e piedi.

Nella nota di presentazione sul sito, la Filip scrive:

«Mi chiamo Catalina e sono una fotografa di viaggio di origini rumene con la passione per le persone, la natura e la vita all’aria aperta. Vivo in Italia dal 1999 e dopo aver lasciato il lavoro mi sono dedicata interamente alla fotografia di viaggio, esplorando nuove mete. Negli ultimi 6 anni ho esplorato la Romania da Nord a Sud riscoprendo il mio paese e proponendo le mie esperienze organizzando dei viaggi da condividere con fotografi che hanno lo stesso amore per l’avventura e la scoperta come me. Mi dedico alla fotografia a tempo pieno cercando di condividere la mia passione e la mia visione e di creare fotografie uniche durante i miei viaggi. Per me la fotografia è come una terapia che dà senso allo scopo e all’espressione della mia anima. Con il mio lavoro desidero ispirare le persone in modo che possano desiderare di vedere quanto sia bello il nostro pianeta e le persone che lo abitano».

Il fine di Angelo Savoca e Catalina Filip è il medesimo: offrire visione di bellezza, trasmettere la cifra poetica contenuta nel Mondo e attuare un’azione di salvezza attraverso la custodia nell’immagine. Domenica 3, la Filip ha dato modo agli intervenuti di godere della profondità insita nei suoi scatti in “Bianco e Nero” attraverso quattro progetti legati ai luoghi natii della Romania che le hanno consentito di riprendere il contatto ancestrale con la sua terra e di infondere nuova linfa al suo essere, in una rigenerazione di corpo e mente. Naturalmente, la Filip fotografa anche a colori e vi invito a perdervi nella bellezza luminosa dei suoi scatti. Scatti che tuttavia, anche nella scelta del “Bianco e Nero”, mantengono inalterato tutto il calore del domestico, del focolare e dello spirito di comunità dove il privato si libra su un confine sottile, e si mescola alla comunità in funzione di famiglia allargata. I progetti, presentati ieri pomeriggio, hanno per protagonista il Maramureș, regione storica autonoma della Romania, confinante con la regione etno-culturale della Transilvania lungo il corso superiore del Tibisco. L’interesse della Filip è principalmente etnografico quindi documentale e antropologico. Dalla storia della defunta Maria che, dal regime di Ceaușescu in avanti, ha vissuto di fatica e di stenti oltre la soglia della povertà ma con una forza malinconica, trasmessaci dalle foto, che ce l’ha fatta sentire viva e pronta a farci entrare nel suo mondo; dalle foto rurali dove contadini e pastori fanno da contrappunto ai lavori svolti dalle donne, di artigianato e di custodia della sacralità familiare. Agli scatti di funzioni religiose, quali il funerale ortodosso, in cui la distanza tra donne e uomini non è sociale ma di opportunità contingente e dove il becchino ha la stessa importanza del sacerdote poiché la vita e la morte insieme alla salvezza dell’anima prendono lo stesso treno. I luoghi che Catalina Filip ci fa conoscere e visitare, ci appaiono non tanto dissimili dai nostri luoghi del Sud Italia e delle nostre due isole maggiori: Sicilia e Sardegna. Anzi, ho ritrovato molta Sardegna nella Romania rurale e pastorale di Catalina, e tanta Sicilia quando parla del rito greco ortodosso perché anche da noi, in Sicilia, persiste una comunità ortodossa in cui il Cristianesimo delle origini è più vivido. Non si dimentichi che la Romania e l’Italia hanno comuni radici culturali in una commistione tra lingua neolatina, antichi culti romani e il cristianesimo d’Oriente.

Bellissima l’immagine della casa in paglia e fango del XIX secolo o quella di una delle chiese di legno che rimanda a un modo di costruire e abitare in dialogo costante con il “Genius loci”. La stessa Filip ce lo spiega in un’altra nota:

«Una della più alte chiese di legno in Europa, si trova a Surdesti, Maramureş. Costruita nel 1721, il campanile è alto quasi 54 metri e l’altezza totale della chiesa è di 74 metri. Nella sua struttura non è stato utilizzato nessun chiodo, semplicemente le travi di quercia sono incastrate tra di loro. È considerata un opera d’arte a cielo aperto. Dal 1999 fa parte del Patrimonio dell’Unesco».

L’anima di un popolo, della sua gente, dei suoi mercati, dei tratti semantici del paesaggio, è ciò che la Filip ci narra mediante uno storytelling che deve tantissimo all’amicizia e alla formazione ricevuta e ancora in corso di Francesco Cito, fotoreporter che non ha bisogno di presentazioni. Un mentore e un “Maestro” con il quale ha condiviso l’esperienza del Maramureș.

Catalina Filip si è mostrata per ciò che è, al naturale: una donna fotografa che vuol dire di sé e di ciò che prova quando è in mezzo agli altri o si immerge nella Natura per recuperarsi e guarirsi dalle ferite che ciascuno di noi ha, sebbene si possano mascherare ma non far sparire. Si mette a nudo attraverso le sue foto e si muove tra le righe di una narrazione tra memoria e autobiografia, ma lo fa con quella dolcezza che nelle donne traspare dagli occhi e si modula nel tono della voce.

Su di lei, Libero Musetti e Franco Maffei hanno scritto:

«“Cata” Catalina Filip: fotografa senza compromessi, una fotografia secca e dura come un cazzotto nella pancia, diretta nel puntare, senza tanti ghirigori, al cuore del problema e sanguigna nell’espressione estetica che non induce, quasi mai, a orpellosi e autocelebrativi vezzi stilistici di autocompiacimento. Una fotografa cazzuta la Cata che non rinuncia a indagare, col suo bianco e nero cocciuto e ruvido almeno quanto la sua apparente spigolosità caratteriale, tra le rughe dei volti scavati di personaggi “distanti” tra loro, ma accomunati dalle esperienze di vita vissuta, universali e trasversali, nei riti quotidiani che si consumano in ossequio ad un credo religioso, al lavoro, o alla vita, talvolta triste ed amara, che si snoda tra le mura domestiche testimoni mute, talvolta e spesso, di angosciose, crudeli vicende. Una espressione senza mezze misure, aspra e dalla forte valenza sociale che si allinea alla più nobile tradizione della fotografia documentaristica e di denuncia di sapore neo-realista. Catalina ci disegna un mondo in bianco e nero, attuale ed antico allo stesso momento, ma autentico e verace sempre, scava sotto la crosta della nostra superficialità e riporta alla luce frammenti delle nostre, inaridite, radici: lo fa con impegno, passione e notevole capacità. Noi, almeno, gliene siamo grati!».

Sembra quasi che la recensione riportata sopra entri in contrasto con quanto da me evidenziato sulla dolcezza di Catalina Filip quando invece fa tutto parte del medesimo pacchetto, perché “una donna con le palle” – espressione mutuata dal gergo maschile – mai perderà di vista la sua essenza più profonda, quel flusso creatore che genera la vita, la protegge, lo fa con tenerezza e forza di madre, così come lo è la nostra Madre Terra.

Questo contributo desidero dedicarlo a mio padre. Se avesse conosciuto Angelo e Catalina li avrebbe abbracciati piangendo di commozione. Lui uomo di terra e di mare; legato a due isole, che sapeva riconoscere l’importanza della memoria, della famiglia e del rispetto per le radici.

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