La casa editrice “Il Saggiatore”, lo scorso aprile, ha indetto un concorso riservato a tutti coloro desiderosi di raccontare il loro punto di vista durante la “Fase 1” della quarantena al tempo del Covid-19. Il progetto ha ricevuto notevole partecipazione ed è venuto fuori I giorni alla finestra. Racconti da un tempo sospeso. Questo, quanto riportato dall’editore per sostanziare il successo del contest:
«Nel marzo 2020 la mobilità dei cittadini italiani viene limitata per far fronte a un’inedita e gravissima emergenza sanitaria causata dalla diffusione di un virus fino ad allora quasi del tutto sconosciuto. Da quel momento le nostre vite diventano esistenze limitate agli spazi delle nostre case e alle poche centinaia di metri che le circondano. Il 10 aprile invitiamo i nostri lettori a condividere racconti brevissimi delle giornate passate a osservare il mondo attraverso le finestre che immaginiamo essere diventate all’improvviso lente, specchio, soglia, spiraglio, cornice o barriera trasparente a difenderci da un esterno sempre più lontano. Quello che leggerete è il risultato della selezione editoriale operata sui circa mille testi ricevuti dalla nostra casa editrice nei giorni seguenti. Le storie sono state scelte per il loro interesse documentale o narrativo, perché riteniamo che ogni testimonianza abbia un inestimabile valore in sé. Ringraziamo dunque tutti coloro che ci hanno permesso di poter osservare questo nostro tempo sospeso attraverso una quantità inaspettata – per noi, al principio – di finestre. Oggi è il 30 aprile 2020 e questo eBook viene pubblicato in distribuzione gratuita. Le misure introdotte all’inizio di marzo sono ancora attive».
Il link per scaricare gratuitamente l’eBook è questo: https://www.ilsaggiatore.com/concorso-2020/
Tra i partecipanti, numerosissimi, anche la giovane esordiente Chiara Trimarchi da Castelmola, uno tra i “Borghi più belli d’Italia”, che in una pagina ha condensato il sentire intimo appartenente a ciascuno di noi.
L’idea dei racconti brevi, naturalmente, non è nuova. Uno dei padri di questo genere è il giapponese Kawabata Yasunari (1899-1972), Premio Nobel per la letteratura nel 1968, già noto nel mondo occidentale e in Italia per i suoi romanzi. Nel 1971, darà alle stampe i Racconti in un palmo di mano che uscirà nel 1990 per “Marsilio”, tradotto splendidamente da Ornella Civardi, la quale nel 2005 vincerà il Premio Alcantara per la traduzione.
Kawabata ha sempre dato priorità ai racconti brevi, rispetto al romanzo. Anzi al racconto brevissimo, quello che sta “in un palmo di mano”, dove la lingua rasenta la purezza e deflagra in forza espressiva Il quotidiano emerge dal limbo dell’appannamento e fiorisce perché, come dice Kawabata: «Un fiore solo ha più risalto che cento fiori». La maestrìa di Kawabata sta tutta nell’aver coniugato la cifra estetica del Giappone, elegante e misteriosa, con i movimenti d’avanguardia europei in cui ricerca formale e sensibilità delle cose si intrecciano.
Ho ritrovato pertanto nell’idea proposta da “Il Saggiatore” tale tipo di sostrato, e in Chiara Trimarchi un’eco del pensiero di Kawabata.
Mi giunge in soccorso la Civardi. Nell’introduzione al testo dei racconti, infatti, riferisce di una “Scrittura a misura d’occhio” del Maestro Kawabata:
«Anche la scrittura va sottoposta alle limitazioni della vista: se le cose sono troppo presenti all’occhio non si vede, ma neppure si scrive. La scrittura, come la vista, si esercita solo in presenza d’una distanza che rende ciò che sottrae. Come dire che a questa letteratura il mondo si può rivelare solo in una visione indiretta, nell’immagine filtrata dallo specchio, diaframma tra l’occhio e il reale. […] La sua è una letteratura dello sguardo: sul cielo, sulla terra, su un autobus di linea… Il suo mondo ha la forma delle cose più usuali e contingenti, e di queste ciò che importa non è altro che la varietà infinita e l’infinita bellezza. Davanti all’occhio narrante la vita trascorre istante dopo istante coi suoi accadimenti minimali (quasi che questi fossero gli unici degni di nota nella storia), e nulla travalica lo sguardo».
L’interessante chiave interpretativa offerta dalla Civardi, riconduce l’attenzione al modo di leggere la realtà e di versarla nella scrittura di Chiara Trimarchi. Lei non ne ha parlato, durante l’intervista, ma l’immagine, lo sguardo, l’occhio e la trasposizione scenica, che in questo racconto “in un palmo di mano” ha edificato mediante le parole, rientrano nel suo percorso professionale.
Il racconto, Castelmola, possiede una nettezza evocativa che da subito porta a soffermarsi sull’occhio che osserva e introietta la visione per farne riflessione. Quando la Trimarchi scrive: «Mi scende sulle ossa una polvere umida», viene stabilito che il racconto è in prima persona. Il soggetto narrante e il narratore sono identici per alimentare il filo dell’auto biografia. L’uso della metafora e della similitudine accentuano la narrazione per immagini, molto legata all’attuale scrittura evocativa e simile alla sceneggiatura. «E allora perché ostinarsi? Perché smuovere quel velo opaco che filtra e conserva? Anche il vetro si copre di strati di tempo» – continua a snodarsi il pensiero narrante – «Flussi d’aria e di lavoro: le persone vorticavano, luminose a intermittenza, prima di depositarsi, polverose, all’ombra del riposo».
Il gioco sinestetico fa percepire la sospensione del tempo, e sposta la centralità del soggetto narrante, il quale diviene uno strumento della vera protagonista: la polvere, con la sua apparente leggerezza che tutto opacizza, divora. Spegne. Analogia con lo star chiusi come oggetti che non prendono aria e si riempiono di polvere. L’essere umano ridotto, suo malgrado, a cosa. La narratrice comprende il senso estenuante dell’attesa di nuovi “aliti” e di “respiri puri”. Istintivamente, ha bisogno di proteggersi dal male e dall’incertezza. Lo fa, compiendo un gesto da bambina: “si copre”. Il freddo dell’anima, agitata, richiede strati e strati di calore, che soltanto la luce di un sole libero e mani unite potranno restituirci.
Dopo aver letto il brevissimo racconto di Chiara Trimarchi ed esserne stata favorevolmente colpita, l’ho contattata pe rilasciarmi le sue impressioni a seguito dell’inserimento nell’antologia de “Il Saggiatore”, una prestigiosa casa editrice, attenta alla cura dei propri lettori:
Chiara qual è la tua professione e quanto è importante per te la scrittura?
A dire il vero sono ancora alla ricerca della “mia” professione. A dispetto delle precedenti esperienze lavorative, non so descrivermi per mezzo di un’attività specifica. In futuro forse scoprirò quale definizione potrò accostare al mio nome. La scrittura per me è relazione, di conseguenza ha una grandissima importanza. È l’attività che apre infinite possibilità nella creazione di legami, collegamenti, flussi, rapporti e unioni, anche tra parti lontane e opposte. Le parole legate raccontano. E altrettanto dice il ritmo con cui avanzano. La scrittura secondo me connette: conduce noi in noi stessi e guida l’interiorità a comunicare con il mondo esterno. Comunicare è essenziale.
Sei un esordiente, ti aspettavi che il tuo racconto rientrasse nell’antologia de “Il Saggiatore”?
Quando sono venuta a conoscenza dell’iniziativa promossa da “Il Saggiatore” mi son detta: «Vorrei provare a narrare la mia versione di questo “tempo sospeso”». Sapevo che la selezione sarebbe avvenuta tra una gran quantità di racconti, ero sicura che non sarebbe stato semplice trovare il mio nome sulle pagine della pubblicazione finale, tuttavia ho sperato da subito che il mio “Giorno alla finestra” non venisse escluso. Ho avuto fiducia non tanto nelle mie capacità come scrivente, quanto nell’intimità delle immagini descritte. Mi incuriosiva l’idea di far affacciare i lettori dalla finestra di cui ho detto, quella con gli infissi di legno.
Cosa consiglieresti ai giovani come te che hanno desiderio di cimentarsi in nuovi progetti nonostante la difficoltà del periodo e degli ambienti isolani?
Credo occorra sempre tanta prudenza nel dispensare consigli, nondimeno mi sento in dovere di esortare tutti coloro che vogliano intraprendere nuovi progetti a procedere. Vero è che il periodo di stasi che stiamo attraversando sembra voler frenare ogni nuova spinta. Purtroppo le distanze sociali impongono spazi che apparentemente spezzano le vie necessarie per avanzare, i contatti frantumati sembrano arrestare i percorsi pensati. Ma credo che ogni pausa (come ogni vuoto) possa rivelarsi un contenitore sorprendente. Anche gli ostacoli ci offrono la possibilità di rendere più fluido il nostro pensare. Un noto proverbio sostiene che “la necessità aguzza l’ingegno”. Le persone (e i giovani soprattutto) risuonano sempre di possibilità inaspettate, sanno trovare soluzioni magnifiche, sanno far splendere la forza dei loro desideri, anche o a maggior ragione negli ambienti isolani. E proprio la nostra isola, secondo me, si declina in potenza e potenzialità: dall’energia della terra e del fuoco a quella dei suoi abitanti.