Luce bianca tiene
ombre lontane.
Sono spettri d’antenati.
S’aggirano a custodia
di questa terra arsa
da sputi infuocati
di sole.
Esiste un senso
d’umano sentire
racchiuso in un’unica
spiga di grano
non ancora raccolta.
Tra una balla di fieno
e un pozzo,
non ancora asciugato
da sete.
Di questa madre
di latte amaro
di lacrime irrigata
di miele ambrato
di zolle irrisolte.
Uno scatto
un sommario ritratto.
Venerdì 19 giugno, finalmente, dopo la lunga quarantena che ha costretto noi tutti a ridimensionare i ritmi vitali e quelli mentali, l’associazione fotografica “Taoclick” è ripartita con le sue “Invasioni digitali”, un modo pacifico per conquistare i luoghi senza violarli e nel pieno rispetto delle persone che li abitano. Non armi ma strumenti: le macchine fotografiche. Stavolta e per il battesimo ufficiale, insieme a loro, c’ero anch’io come corrispondente di “Jonica Reporter”, per chiudere quel percorso partito da “CAMERE CON VISTA” e tornato ad aprirsi al mondo esterno. Tappa dell’invasione numero “33”, Polizzi Generosa, e dei “ragazzacci indisciplinati” facevano parte: Alfio Barca, Rogika, Augusto Filistad, Marah Filistad, Sandra Sanchéz, Alessandro Licciardello, Giovanni Russotti, Vera Terranova ed io, in bilico tra scrittura e fotografia. La nostra madrina, e in un certo senso padrona di casa – perché Polizzi è diventata un po’ casa sua –, Ursula Costa; insieme a noi anche la squadra di “AFI011”, associazione fotografica della zona di Roccalumera, capitanata dal presidente Mario Pollino. Non mi interessa qui parlare di orari e partenze o pause, posso dire di ciò che ho provato; e ciò che ho sentito sulla mia pelle bruciata dall’umidità e dal calore del sole è stato risveglio di anima e mente. Ho riaperto gli occhi sul mondo, sulla mia vita e su ciò che faccio. Le ho condivise tutte intere e a pezzi le emozioni e le riflessioni, l’ho fatto dapprima percorrendo angoli di edifici, di strade e di viuzze con me stessa, perché bisogna maturale in solitudine certe ricchezze interiori e dopo le ho donate a loro. Ho riso ed ho pianto. Mi hanno visto e ciò ci ha reso ancora più vicini in un’unione che per me è fatta di parole e immagini; di scrittura e di visioni. Un’interpretazione del mondo mediante il Linguaggio nelle sue meravigliose e varie forme d’espressione: dall’arte, alla letteratura; dalla storia sino alle parole della gente e ai suoi gesti.
Per questo, appena poco fuori dalla cittadina, mentre gli “indisciplinati” erano già tra i campi a coglier scatti, io sono rimasta in auto, la portiera aperta ed ho salutato a modo mio, Polizzi Generosa, con la lirica che ho posto in apertura di questo contributo e che va unita con un collante di sensazioni visive, alla foto di copertina, anche quella mia. Partecipare a un’invasione digitale richiede d’esser muniti di macchina fotografica, spirito curioso e desiderio di apprendere gli uni dagli altri, in una semplice condivisione di esperienze per tirar fuori da ciascuno il potenziale nascosto, ma soprattutto, per far volare l’unicità e il senso di libertà e di ascesa che è dell’essere umano, il quale anche attraverso la fotografia costruisce ponti tra uomini e uomini, e tra uomini e dei.
Polizzi è “Generosa” nel senso grande dell’accoglienza della sua gente, che ti offre il caffè ed esce in strada a salutarti. Mantiene intatte le promesse, offerte dalla sua storia e dalle sue tradizioni. La città è abituata a ricevere viandanti e pellegrini, essendo una delle tappe della “Francigena di Sicilia” che da Palermo, per le montagne giunge, sino alla Città delle Stretto: Messina.
Polizzi s’adagia tra le Madonie meridionali ed è protesa sino alla valle dell’Imera Settentrionale. Rientra nel territorio della Città metropolitana di Palermo ma è città di confine: tra Enna, Caltanissetta e Agrigento. In questo periodo, i campi mietuti e le cromìe da calura estiva dipingono il paesaggio. La luce, venerdì, era bianca, lattiginosa, non sembrava fatta per fotografare eppure, quelle imperfezioni hanno, a mio avviso, dato il via alla danza di chi è sepolto in questa terra e in quelle vallate. Forse per questo motivo, ho accolto di buon grado la visita imprevista al cimitero, prima dell’inizio dell’itinerario ufficiale. Io ci passerei giornate intere dentro ai cimiteri, ricettacolo vero di memorie defunte e racconti di vivi, tra passato e presente.
Per tutta la giornata ci ha accompagnato l’entusiasmo frenetico di Ursula, che secondo me presto diventerà cittadina onoraria. Avrebbe voluto farci vedere tutto ma in un sol giorno sarebbe stato impossibile, quindi sia lei che gli amici conosciuti ci hanno salutato con l’auspicio di “un arrivederci”.
Ma Ursula ci ha affidati a una guida speciale, “Nino delle Chiavi”, un fantastico signore che conosce vita, morte e miracoli della città e dei luoghi. Una persona dalla faccia bella, dal sorriso sincero, pronto a rispondere a qualsiasi domanda e che ci ha regalato anche qualche fuori programma come la visita a un edificio religioso, che prima era una moschea con tanto di minareto.
Polizzi Generosa ha origini molto antiche. Tra i ricercatori vi sono quelli che hanno ipotizzato si tratti dell’Atene siciliana descritta dallo storico Diodoro Siculo. Vi è anche l’ipotesi di una fondazione bizantina vista anche l’origine del nome Polizzi che deriverebbe dal greco. I reperti archeologici del IV-II secolo a.C. attestano che Polizzi è stata abitata fin dall’antichità, e il nucleo attuale, si sarebbe sviluppato durante la dominazione bizantina. Dagli Arabi ai Normanni lo sviluppo urbano e del territorio crebbe a tal punto da farla essere tra le più importanti città demaniali siciliane, quindi “città cara al re”. Da Federico II, che le avrebbe attribuito il titolo di Generosa, la città diede ospitalità a diversi regnanti. La regina Elisabetta, moglie di Pietro II d’Aragona, che qui fondò il Monastero di Santa Margherita; Bianca di Navarra e l’Imperatore Carlo V.
Di Polizzi vi colpiranno i vicoletti, le contrabbone o arcofie di origine araba, il centro storico a misura d’uomo e tenuto come una bomboniera. Anche le insegne dei negozi sono rispettose dei canoni del decoro urbano. E poi la luce che inonda o sommerge i palazzi. Gli edifici hanno i colori paglierini e argillosi del territorio. Dal normanno gotico, al Rinascimento, con l’arte fiamminga e quella della bottega del Gagini e dei suoi lavoranti, sino al manierismo del Cinquecento, le impronte nobiliari sono impresse nelle architetture e nella ricchezza delle badie e degli edifici religiosi. Qui vi era una ricca committenza che ha lasciato una inestimabile eredità.
Ora immaginate, gli “indisciplinati di Taoclick” e i lor amici di “AFI011” come uno sciame d’api a cercar fiori da impollinare. Questa l’immagine che ho avuto ed io là a tratti, in mezzo, a tratti defilata.
Ed ecco, appare Palazzo Gagliardo, costruito a partire dalla seconda metà del XVI secolo e i bei cantonali, ornati dagli eleganti bugnati, e il portale. Oppure la Chiesa Madre di primo impianto normanno, fatta ampliare dalla contessa Adelasia, nipote di re Ruggero. Dell’antica struttura vi è parte del muro lungo il lato meridionale, e lo splendido portale tardo-gotico di San Cristoforo. Visitate l’interno e sarete immersi nel Rinascimento. Vi è il trittico fiammingo della “Vergine con il Bambino” attribuito a vari artisti da Van Eych, a Van Der Weyden. Resterete senza fiato alla vista delle opere del Gagini – che fece a Polizzi una delle sue più importanti botteghe – come l’arca marmorea di San Gandolfo, proprio di Domenico Gagini, datata 1482; il preziosissimo Ostensorio d’argento a più piani, realizzato da Nibilio Gagini nel 1586. Interessante è la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la “Badia Nuova”, edificata, nel 1499. E a seguire, la Chiesa di Santa Margherita, la più antica “Badia Vecchia”, edificata nel XV secolo insieme al monastero, oggi non più esistente. Nella chiesa si conservano diverse opere tra cui una statua in marmo di Santa Margherita, dello scultore Domenico Gagini e dei suoi collaboratori; una bellissima cancellata in ferro battuto manifattura del locale artigianato.
Ogni angolo o cortile qui invita alla fotografia e alla scrittura, persino quello del ristorante “U Bagghiu”, dove abbiamo pranzato benissimo e con i prodotti tipici. La signuruzza titolare del ristorante sa che tornerò per il suo meraviglioso liquore all’alloro ma non dirò dei retroscena o si perderebbe il senso poetico di questo articolo. Sappiate solo che “ci fu cinema e varietà” al solito mio. Una storia, quella di Polizzi, che accoglie anche quella dello scrittore Giuseppe Antonio Borgese, uomo e letterato; giornalista e intellettuale, il quale vide nel romanzo la forma nuova della letteratura del XX secolo, tanto che Leonardo Sciascia ne fu un sincero ammiratore. In visita alla “Fondazione Borgese”, sita nella casa natale di Borgese, la presidente Clara Aiosa e il direttore Gandolfo Librizzi ci hanno offerto l’opportunità di entrare un po’ più a dentro al mondo di Borgese, colui che coniò il termine “Poesia crepuscolare”.
Tuttavia, in tre occasioni particolari, il mio esercizio del senso della meraviglia ha tracimato e si è trasformato in pianto.
Quando i miei occhi hanno incontrato il vuoto oscuro della solitudine di un uomo su una panchina della piazza nel cuore del centro storico. Ci siamo guardati ma non ho scattato foto, ho fotografato con gli occhi del cuore. Ci siamo abbracciati io e lui perché ci siamo avvertiti simili. Lui ha letto nel mio animo quel nero che nascondo con i miei sorrisi. Ho visto un fratello e ciò mi ha colmato di commozione.
A fine giornata. Era il tramonto mancato a Polizzi per via del giorno intriso di Scirocco e in un ultimo fuori programma, siamo giunti ai mistici resti della Commenda dell’Ordine Sovrano Militare di Malta, nella periferia meridionale. Qui, circondata dall’affetto dei miei indisciplinati amici, e prima della foto di gruppo made in “Taoclick”, sono stata benedetta in questo luogo del XII secolo. Qui ho ricevuto il completamento del risveglio ed ho ricevuto la risposta che attendevo, in totale comunione con il divino.
Lascio per ultimo – ma è stata l’esperienza di mezzo tra le tre – il mio incontro con il signor Cascio che di nome fa Gandolfo, perché San Gandolfo è il patrono della Città di Polizzi e in tantissimi si chiamano per l’appunto, Gandolfo. Della chiacchierata con il signor Cascio, in piazza XXVII Maggio o della Trinità, in un pomeriggio rovente di giugno, mi resterà la timida dolcezza di un uomo che attraverso il suo racconto mi ha fatto respirare l’aria di quando ero bambina, insieme ai miei nonni e ai miei genitori, ad ascoltare le storie di famiglia e quelle delle persone vicine. Anche stavolta, non ho scattato foto, ho lasciato fare agli altri amici. Tra me e il signor Cascio, seduto nel primo pomeriggio anche lui su una panchina, si è instaurato un rapporto familiare. Mi ha raccontato di aver fatto il servizio militare a Taormina e di aver fatto tantissimi mestieri; di aver due figli maschi e uno di loro fa l’infermiere. Il suo volto, la sua espressione, il suo garbo e la sua stretta di mano per salutarci mi hanno fatto sentir parte della sua vita; e lui della mia, perché abbiamo punti di contatto ed è vero che “tutto il mondo è paese”. In quello sguardo, in quella stretta di mano e in quella risata spontanea quando gli ho detto – rispondendo alla sua domanda sulle mie origini – che avevo madre siciliana e padre “sardignolo”.
Questo è ciò che conta davvero, il rapporto umano, quello vero. Non mi pento quindi di non aver fatto foto né a lui né all’altro uomo, sulla panchina, perché li porto raccolti entrambi dentro al cuore, in un’istantanea dell’anima.