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martedì, Ottobre 22, 2024

Storia di tre caccarazze e un gufo. Il senso del viaggio e della condivisione

Senza categoriaStoria di tre caccarazze e un gufo. Il senso del viaggio e della condivisione
Vera Terranova

Un titolo che è tutto un programma – Vi starete chiedendo il perché di un titolo tanto strambo e divertente. In realtà, ho accolto il suggerimento di Vera Terranova – che ringrazio in anticipo per lo scatto meraviglioso che ha voluto offrirci come copertina a questo contributo – la quale, scherzando e ridendo sul nostro viaggio «in direzione Polizzi», mi ha consigliato di scrivere un racconto per bambini su questi tre personaggi: tre caccarazze e un gufo. La caccarazza, o carcarazza, è uno dei nomi che noi diamo, qui in Sicilia, alla gazza e rappresenta alla perfezione le protagoniste di questa storia di amicizia e di condivisione, insieme al protagonista maschile: il gufo.

Dunque è meglio che li presenti tutti. Il gufo è Roberto Mendolia alias Rogika e le tre caccarazze sono Ursula Costa, vera Terranova ed io. Chi ci conosce, e sa chi siamo, avrà già iniziato a sbellicarsi dalle risate, ne sono strasicura. Rido pure io, davanti allo schermo del pc, ripensando a quello che abbiamo vissuto e combinato. Del resto, siamo assai originali, ciascuno a suo modo e tre femmine, con una vittima sacrificale del tipo «unni mi chiuvi mi sciddica», ecco, immaginate e ridete pure! Se in più ci aggiungete il fatto che ho esaudito il desiderio di tornare al Baglio di Santina a Polizzi perché fremevo all’idea di riassaggiare l’elisir di lunga vita, la medicina contro ogni male, quel nettare degli dei che è il liquore all’alloro, insomma lo sapete, in me avviene una vera e propria metamorfosi. Ne sono stati testimoni anche gli amici della Fondazione P. G. 5 Cuori con ulteriore sostegno al limoncello. Ma partiamo dall’inizio.

 

Non mi interessa fare un elenco delle cose viste – Non starò qui a descrivere nel dettaglio i luoghi. Ciascuno sperimenta in modo unico e personale il viaggio, sia esso lungo o breve. Ciò che conta è dettato dal tempo dell’anima, in unione con quello della terra cangiante, che asseconda la luce e l’aria. La Sicilia è un mondo che racchiude tanti altri mondi. Ullina lo ha detto bene: «è un continente»; e Roberto ha citato Bufalino e le sue «Cento Sicilie». Frattanto Vera, che ha condiviso la guida con Ursula, pensava a voce alta: «qui ci vedo una foto». Loro sono così: vedono la composizione, il colore, la luce giusta, così come io ci vedo una narrazione. Scriviamo tutti: loro con la luce, io in un certo senso pure. Scriviamo e raccontiamo storie di luoghi, di presenze, e di grandi e affettuose assenze.

Il viaggio è bello anche per questo: ci si racconta, e si ricorda. Tutto quello che verrà non sarà perduto perché ciascuno di noi, a suo modo, ha alto il valore della testimonianza e del tramandare, per strappare all’oscurità dell’amnesia un senso di ciò che significa essere isolani, e siciliani, in particolare.

 

Percorrere la Statale 120 in macchina – Da pazzi diranno alcuni; favoloso, asseriranno, altri. L’idea, dopo il caffè, la pipì e i saluti di rito, l’ha lanciata Ursula «ca jé sempri peri peri e strati strati», quindi l’on the road alla sicula era necessario. Vera, disponibilissima come me e Roberto, che ve lo dico a fare…

Posso solo semplificare le emozioni vissute che corrispondevano agli «Wowww» di Ulla, a Vera che fotografava con gli occhi mentre guidava, a Rogika che fotografava al volo, mentre a modo suo faceva da navigatore… A me che tra una battuta e l’altra li studiavo, tutti, e prendevo appunti, costruendo storie.

Ci siamo lasciati andare al viaggio; abbiamo fatto merenda al panificio casereccio COSTANZO e BONTEMPO in contrada Passo Serra verso Bronte. A Muntagna sbuffava e travagghiava a so manera; il paesaggio ci donava ondulazioni di terra e lavoro di uomini e di animali. Il profumo del «pane cunzatu» ci ricordava che nulla si ottiene senza sudore, fatica e amore per ciò che si fa. Si deve essere disposti alle rinunce ma quando arriva il pane caldo, allora torniamo tutti bambini e la Bachis si mette a far piroette nello spiazzo antistante il panificio e a danzare sulle punte. Esistono prove schiaccianti che mi inchiodano!

Proseguire macinando strada e andare a Troina per entrare nel mondo fotografato da Robert Capa; pensare alla mia amica Rosalda, al suo romanzo – ne ho parlato anche con loro –; pensare alle vie Francigene e ricordarmi di come è nata la rete dei cammini in Sicilia, per merito di Davide, Irene, Oreste e tanti amici virtuosi. Devo dirvi che è stato un viaggio interiore a ritroso nel tempo. Ho rispolverato una parte di me che a lungo ho celato, e mi sono fatta abbracciare dalla Terra che mi ha dato la vita, per sentire chi sono e da dove provengo.

Non mi interessa farvi il minuto per minuto, sappiate però che tornare a Polizzi, e alla sua gente generosa, fa bene al cuore. La Sicilia ha molti volti, devo dire però che qui da noi «u salutu u lassau u Signuri» e quindi ci si saluta e si chiede da dove vieni. Il meraviglioso universo dei paesini e dei borghi non è provincialistico ma mette al centro la provincia. Ed ecco Ettore un «bravu carusu» che ci accoglie al B&B Abies, centralissimo e confortevole; e gli amici della Fondazione. La via Garibaldi – che chiamano il corso –, la chiesa madre, la piazza Belvedere. E i picciriddi che giocano a pallone, i vicchiareddi assittati, in un sabato di festa che ti sembra di essere dentro alla Recanati di Leopardi.

Non riferirò della cena al Baglio. Andateci e poi mi direte, del liquore all’alloro… ok, sto muta… Secondo me lo usavano negli antichi culti misterici…

Va bene, allora passo a dirvi un po’ di più del contest fotografico ma prima vi consiglio, quando vi recherete a Polizzi, di lasciarvi avvolgere e ammaliare dalla nebbia. Addolcisce i contorni d’ogni cosa; l’animo si distende, pronto all’ascolto, ed è in quell’ora che il divino giunge a tenervi compagnia. Tutto appare placato. Il silenzio è signore assoluto e tra un rintocco e l’altro, potrete scegliere se perdonarvi perché fragili, oppure passare oltre fingendo di essere immortali.

Mentre sto buttando giù queste impressioni, mi fermo un attimo. In sottofondo c’è Claudio Baglioni con «La vita è adesso». Quelli della mia generazione lo sanno il significato del brano e ci sta a pennello, tanto che lo sto cantando: «… e imparerai che per morire ti basterà un tramonto… e non lasciare andare un giorno per ritrovar te stesso… perché la vita è adesso, è adesso, è adessooooo…».

 

Un’inaugurazione che è un traguardo importanteSabato pomeriggio dell’11 giugno scorso è stata un’inaugurazione con i fiocchi quella per il primo contest fotografico alla Fondazione P. G. 5 Cuori. Un luogo nella centralissima via Garibaldi dove ad ogni angolo dell’edificio si respira aria di Sicilia: dai colori scelti per i pavimenti e i decori, alle foto, alle componenti d’arredo e tutto nel rispetto delle caratteristiche del posto e secondo l’originalità espressa da Domenico Dolce, visceralmente legato al grembo materno di Polizzi. La foto finalista sarà scelta dal Maestro Giuseppe Leone, che non ha certo bisogno di presentazioni e, che ha attivamente collaborato alla selezione degli scatti dei vari autori esposti. Leone sarà presente insieme a Dolce il giorno della premiazione, fissata per il prossimo mese luglio, con data che sarà comunicata a breve. Inoltre le foto dei vari autori partecipanti entreranno a far di un catalogo affinché resti un segno tangibile di amicizia e accoglienza. Una nota particolare va riservata a Francesco Marabeti e a tutto lo staff della Fondazione. Senza il loro impegno e certosino lavoro non sarebbe stato possibile il raggiungimento di questo nuovo traguardo. In merito, invece a ciò che è la Fondazione, riporto qui a seguire, quanto contenuto nel sito della stessa che vi invito a visitare.

 

Il nome di battesimo«P.G., Polizzi Generosa. 5 Cuori, uno per ogni lettera della parola Amore. La Fondazione P.G. 5 Cuori nasce nel 2020 a Polizzi Generosa (PA), il suggestivo borgo arroccato sulle pendici delle Madonie, su iniziativa di Domenico Dolce e della sua famiglia. Un atto d’amore per la loro città natale, per i suoi abitanti, le sue bellezze artistiche, le sue tradizioni e il suo unico paesaggio naturale».

 

La Missione – «Conoscere per non dimenticare, e per poi ripartire. La Fondazione P.G. 5 Cuori vuole essere un cantiere culturale senza scopo di lucro che porti il seme dell’Amore per la Bellezza fuori dai suoi confini, incoraggiando la comunità locale a riconoscere il patrimonio inestimabile delle proprie radici e divulgarne il valore. Un propulsore di crescita sociale ed economica del territorio polizzano, che promuova la partecipazione attiva del singolo attraverso attività culturali, formative, sociali e di fund raising; un’occasione per riscoprire e dare vita nuova alle antiche maestranze artigiane e agricole che hanno fatto la storia e la ricchezza del luogo, per affermarne e rafforzarne la realtà, creando nuove opportunità di occupazione lavorativa e crescita concreta. Un esempio virtuoso e solidale di rinascita per la comunità, un modello di promozione e fruizione delle bellezze locali nel mondo. Un testimone da passare alle nuove generazioni, perché possano rintracciare nel passato un investimento per il loro futuro. Un fine raggiungibile, insieme, con la forza dell’Amore e della Passione per la propria terra».

Per chi volesse visitare il sito:

https://fondazionepgcinquecuori.com/fondazione/

 

Son partita parlando di viaggio e di pane, voglio chiudere con il pane – Sì, perché nel viaggio di rientro, ripercorrendo a ritroso la SS 120, già carichi delle emozioni vissute, abbiamo fatto tappa a Gangi. Al solito, non starò qui a descrivere il borgo poiché vi invito, ancora una volta, a trovare il giusto tempo per scoprire la nostra terra. Desidero però offrire un ultimo spunto di riflessione.

A Gangi, centro di riti e tradizioni millenarie, ho avuto per puro caso il piacere e il dono di conoscere e di poter chiacchierare con il panettiere artigiano-artista Francesco Logiudice. Un incontro inatteso e sorprendente. Logiudice è noto per la maestrìa con cui lavora la farina e l’acqua con cui si ottiene il «pane fasciddatu». Pane trasformato in autentiche opere d’arte, ispirate alle opere esistenti e alle tradizioni locali come l’altare di pane di San Giuseppe.

Un miracolo, mentre conversavamo, riuscire a sentire il profumo del pane che emanava dalle sue prodigiose opere. Opere benedette, vi assicuro. Ciò che è fatto con amore è benedetto, e occorre ricordarlo sempre che la memoria è del cuore ed è orchestrata dalle sue corde.

Il pane è vita; la vita è accettazione di esistenze e comunione. Ripercorrendo la strada verso casa anche di questo ho fatto tesoro. Ho riportato a casa tutti gli ingredienti per essere grata di stare al mondo. Anche a questo serve il viaggio, a farci tornare ad essere presenti a noi stessi.

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