Il penultimo appuntamento di “Camere con Vista”, per questo 2020, è andato in diretta social sulla pagina dell’associazione fotografica “Taoclick”, venerdì 11 dicembre, in compagnia di Barbara Nunnari, special guest, la fotografa Ursula Costa per raccontare di Peter Martin, fotografo, scomparso ai primi di settembre di quest’anno. La seconda edizione del format è a cura dell’associazione fotografica “Taoclick”, di Rocco Bertè “Foto e Video”, di “Rogika’s Friends” e del media partner “JonicaReporter” diretto da Valeria Brancato. La squadra è composta da: Alfio Barca, Rocco Bertè, Roberto Mendolia (Rogika) e Augusto Filistad.
Le “novità e gli accadimenti dal mondo delle fotografia” a cura di Alfio Barca – Come di consueto, dopo i saluti iniziali fatti da Rogika – Roberto Mendolia –, la parola è passata al segretario dell’associazione “Taoclick”, Alfio Barca, con “Novità ed accadimenti dal mondo della fotografia”. Protagonista, CUFTER, il misterioso fotografo tornato dal passato a fare l’influencer, con suggestive e ricche immagini della storia del nostro paese nella prima fase del XX secolo. Un fenomeno nato quasi in sordina ma divenuto in poco tempo virale, sebbene la stampa si sia accorta tardi di lui. Ma “Chi è Cufter?”. Per averne un’idea e sfogliare notizie e fotografie basta andare sull’omonimo sito che ne illustra intenti e percorso. Un viaggio a ritroso nel tempo per farci comprendere come è cambiata l’Italia.
Si presenta così, il fotografo:
Nasco a Trieste nella seconda metà dell’800, mi trasferisco a Roma a inizio secolo. Sono un appassionato di fotografia, o meglio di fotografia stereoscopica sin da ragazzo. Ho visitato l’Italia cercando di raccontare le sue bellezze e la mia epoca, sempre con la mia Trieste nel cuore. Ho conosciuto tanti personaggi della mia epoca, cercando di mantenere vivo il loro ricordo tramite le mie foto. Il mio archivio che credevo sarebbe andato perduto dopo la mia morte ha resistito agli anni, è stato ritrovato e finalmente riesco a mostrarvelo.
Naturalmente, Alfio Barca ne ha approfittato per mostrare gli strumenti del mestiere, usati da CUFTER, prima fra tutti la “Verascope Richard” nei vari modelli in uso alla fine del XIX secolo. Il segretario ha anche mostrato varie immagini dei luoghi visitati dal fotografo triestino, tra cui la nostra Taormina, dato che se si pongono delle domande, CUFTER risponde con garbo e volentieri. Tanto che ha accettato di sottoporsi ad un’intervista di Michele Smargiassi, sul suo Blog dalle pagine di “Repubblica”, apparsa il 25 novembre scorso.
«“Buongiorno, sono Cufter, so che mi ha cercato…”. L’accento romano ci può anche stare, ma la voce è troppo giovane per un uomo che dovrebbe avere più o meno centocinquant’anni di età. Ma la finzione è bella così, accettiamola. Sto dunque parlando con un influencer di un secolo fa, che sta diventando un instagrammer di successo in questo. Ha aperto il suo profilo in luglio, pubblicando più o meno una fotografia al giorno. I follower non sono ancora molti, un migliaio, ma il gioco virale si è ormai avviato: chi è Cufter? Sul suo profilo @whoiscufter lui si presenta così, un misterioso fotografo triestino, emigrato poi a Roma, ma che per oltre un ventennio, dal 1907 al 1930, ha girato l’Italia, da Trieste a Catania, collezionando migliaia di vedute stereoscopiche (cioè che apparivano tridimensionali se guardate attraverso un apposito visore) di un paese, il nostro, negli anni del suo tormento bellico e della sua caduta nel fascismo. Una documentazione straordinaria. Che però diverse istituzioni culturali cautamente interpellate hanno snobbato: la pandemia, pochi soldi, niente mostre in vista… “E allora io”, dice il vecchietto, “che ormai ho una certa età, ho deciso di fare da solo”. Come fanno i ragazzini ambiziosi. Sfondando viralmente sui social. Puntando a diventare una chiaraferragni della belle époque. Ma con fotografie in bianco e nero, e di un’Italia che nessun utente Instagram ha mai conosciuto. Che sfida. Ma sta funzionando».
“Tao Didattica”, “Tao Immagine” e la semplicità di Rocco Bertè per insegnar di fotografia – Nuovo focus del maestro Bertè sulla composizione fotografica, apprezzato e seguito. Concludendo una serie di incontri, il fotografo è tornato a parlare di Regola dei terzi, ma per confrontarla con le varie tecniche miste dove ad esempio si può scegliere di inquadrare la foto attraverso cornici architettoniche o naturali oppure usare le linee del tracciato stradale o quelle del paesaggio per dare corpo al soggetto o ai soggetti. Magari preferire linee sinuose di una curva per puntare l’obiettivo su un dettaglio, al fine di rendere la foto accattivante e degna di trasmettere un messaggio. Perché come già più volte ha espresso: le regole non sono poi così vincolanti ed è il fotografo a fare la foto, che può essere rigorosa e dal taglio millimetrico come nei frame delle scene di alcuni capolavori di Kubrick oppure una mescolanza di linee e pattern. I Pattern sono usati di solito nella computer graphics, e sono un’immagine o un motivo decorativo che è possibile replicare all’infinito, specialmente nella creazione di sfondi, che si ripetono. Ampiamente adoperati in fotografia ne sono un esempio alcune delle foto di Steve McCurry. Tutto ciò che serve a veicolare un messaggio e che dice qualcosa su chi scatta la foto e sul soggetto nella foto ben venga, cosicché da dar luogo alla manifestazione di una sana sperimentazione e di un sano estro creativo, generante movimento, struttura, corpo e profondità. Per avere il risultato di aver portato a casa una buona foto.
Consigli e suggerimenti per migliorare le foto che non sono imposizioni anche nella sezione “Tao Immagine”, che vede coinvolti i vari fotoamatori i quali, con l’hashtag #taoimmmagine, possono accedere postando una loro foto sui gruppi “Taormina… Click” e “Taormina New Street Photography”. Immancabile anche il “Tao Quiz” dove il misterioso – forse più di Cufter –, Concetto sembra sempre giocare d’anticipo e sapere tutte le risposte, forse perché trascorre l’intera settimana a fare i compiti e le varie simulazioni in attesa del venerdì.
Peter Martin rivive nelle parole di Barbara Nunnari ed Ursula Costa – Barbara Nunnari, stimolata dalle domande di Rogika che ad un certo punto ha preferito lasciare lo schermo a lei e ad Ursula Costa, in quanto amiche e partecipi di un comune percorso, ha detto di sé e soprattutto dello scomparso Peter Martin all’età di 45 anni. La Nunnari, è una restauratrice e un’insegnante di pittura. La passione per la fotografia gliel’ha trasmessa proprio Peter Martin. Polacco, giunto in Sicilia da ragazzino, quando in Polonia le cose non andavano affatto bene perché era stretta nelle maglie del comunismo sovietico. Un ragazzino che ha sempre vissuto e fotografato a Messina – secondo quanto espresso dalla stessa Nunnari – e che ha sofferto un grande vuoto interiore di affetti distanti, culminato ahimè nella deviazione verso strade alcoliche. Spesso stava in comunità ma l’emarginazione e il voler stare nella strada lo chiamavano, forse perché nella sua mente abissale e geniale sentiva che quella era la sua più viva appartenenza. Un’esistenza da borderline che si specchiava e si riconosceva in quella di altri come lui. Perché nelle immagini che potrete vedere ancora sul suo profilo ‘Facebook’, mostrate in video venerdì pomeriggio, Peter Martin leggeva il fondo del cuore degli altri, oltre i tessuti cicatriziali e gli ispessimenti della pelle. Oltre i tentativi di abbassare lo sguardo per nascondere l’intimità di essere diversi. Cosa leggeva Peter, usando l’obiettivo anche quando non viveva per strada e aveva un lavoro? Scendeva in strada e leggeva, per leggere meglio se stesso o quantomeno provarci a ricucirsi un po’. Lui che doveva avvertirsi sbrindellato dentro e cercava sollievo per ricompattarsi. Per lui, leggere gli altri, era darsi un aiuto; era un provare a rispondere a domande, restate senza risposta. Eppure quest’anima tormentata – che non percepiva nella sua visione esistenziale altro che o il bianco o il nero e la bilancia di certo propendeva verso lo scuro – ha lasciato documenti di Street che, come asserito in alcune dichiarazioni, rilasciate da Rogika, «sono degne di stare in un museo».
«Ne parlavo con loro – ha ribadito Roberto Mendolia – per me le sue foto sono un pugno nello stomaco».
Ma questo perché a mio avviso, in quel mondo di contrasti, sottolineato dal contrasto, tra luce, vacuità degli sguardi e segmenti dei volti, Rogika ha ritrovato una porzione del suo “fare fotografie” e del “perché fa fotografia”, ed ha riconosciuto un suo simile nell’essere frastagliato e irrisolto. Rogika ha anche accostato l’opera fotografica di Peter Martin a quella di Miroslav Tichý.
Un fotografo fuori dagli schemi che costruiva le sue macchine fotografiche con gli scarti – lattine, spago e pezzi di cartone, tappi di birra – aveva la barba lunga, i capelli sporchi, e possedeva quelle macchine fotografiche costruite con materiali di recupero. Le sue immagini sono ipnotiche e magicamente imperfette, intrise di profonda delicatezza. Ha vissuto una vita ai margini dell’invisibile. Per saperne di più su questo poeta della fotografia, consiglio la lettura dello splendido contributo di Giuseppe Bocci, sul suo blog, del 25 settembre scorso, dal titolo ad alto impatto emotivo: “Miroslav Tichý: il voyeur con la fotocamera fatta in casa”.
Per questo motivo, ho esplicitato a Barbara e ad Ulla la considerazione sull’esigenza di fare una mostra e un testo su Peter Martin e la sua fotografia. Fotografia che racconta una città, la sua città di adozione: Messina, scendendo sin dentro gli anfratti e scavando oltre la superficie delle apparenze accomodanti e pacificatorie. Riflessione condivisa. Il progetto difatti sarà avviato appena la Nunnari inizierà il lavoro di riordino dell’archivio di Martin, senza dubbio con la fattiva collaborazione di Ursula Costa, che a lui deve tanto per lo sprono incessante a dare l’anima alla fotografia e la gioia nel vederla percorrere la sua strada fatta di immagini. Unione di passioni e intenti, a cui di certo non si vuol sottrarre Rogika, che per amore della fotografia indossa sempre la giacca e mostra il bello del saper fare degli altri. Un atto di affetto verso Peter Martin, che lega inesorabilmente Barbara Nunnari, Ursula Costa e chi ha vissuto da vicino il suo genio come lo stesso Enrico Borrometi.
Bisogna ricordare anche che tra le ultime mostre a cui Peter Martin ha partecipato ve ne è stata una nel settembre del 2013 (sette anni fa) a Messina. Lui perfezionista e maniacale com’era, non si sentiva così bravo da esporre. Fu una collettiva “Made in Sicily” promossa dall’associazione “Officinae dell’Arte” che, a Palazzo Zanca, si propose di raccontare: Street, waterscape, photomanipolation, urban photography, reportage e fotogiornalismo con alcune delle tecniche fotografiche attraverso le quali gli artisti della collettiva narravano la Sicilia.
Peter Martin entrava negli altri, letteralmente. Una vita da randagio che gli ha permesso di saper leggere i tratti della strada dalle note più struggenti a quelle più aspre. Un lascito, il suo, di incommensurabile valore antropologico, sociale ed estetico, perché quelle foto sono belle e fanno venire il magone a chiunque le osservi e voglia provare a camminarci dentro. Dentro il mondo graffiante e graffiato di Peter Martin.
“Camere con Vista”, vi dà appuntamento venerdì 18 dicembre con l’ultimo appuntamento che vedrà ospite Andrea Peri, per augurarvi buone feste e regalarvi un abbraccio nel nome della bellezza.
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