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Da “È Stata la Mano di Dio” alla riflessione sulla vita di ciascuno di noi

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Ufficio stampa  di Sorrentino

Il 29 e 30 dicembre dello scorso anno (pochi giorni fa), ho dedicato a me stessa due proiezioni consecutive del nuovo, poetico e magistrale lavoro di Paolo Sorrentino, È Stata la Mano di Dio, proiettato alla Casa del Cinema di Taormina.

Ho letto diverse recensioni positive e negative. C’è chi lo ha trovato lento, e allora non conosce affatto i ritmi di Sorrentino che sono ritmi partenopei, o chi lo ha visto troppo legato agli schemi felliniani; ci aggiungo che vi è un immenso dono anche per Troisi, tanto per rincarare la dose.

Ecco, me lo sono gustata e rigustata, sentivo prepotente il legame con Napoli, Maradona, la sua gente. L’ho visto due volte in due giorni, e sono stata Filippo Scotti alias Fabietto Schisa alias Paolo Sorrentino. A proposito, ogni attore dal principale alle comparse ha reso un lavoro corale dove luoghi noti ed inediti di Napoli si sono affacciati per salutarci e dove la ricostruzione dagli ambienti, agli arredi, è quella degli anni Ottanta. Un plauso speciale per me va a Biagio Manna, magnifico interprete, l’amico ultras e contrabbandiere di Fabietto.

Ero una ragazza adolescente in quegli anni ed ho potuto godere il privilegio di crescere e formarmi in una famiglia come quella di Fabietto-Paolo. Facevo il liceo classico ed eravamo così, noi ragazzi. La mia fortuna è stata quella di vivere nella Taormina di quegli anni dove c’erano anche tanti napoletani che venivano qui a trascorrere le vacanze. Mi ci sono rivista al posto di Fabietto: i drammi, i sogni, il grande senso di immaginazione che mi ha accompagnato sin da piccola.

Sorrentino ha voluto fare il cinema, io ho voluto raccontare con le parole scritte la storia. Sempre di scrittura si tratta: la sua, la mia; quella di ciascuno di noi. Ieri, ed oggi.

Con È Stata la Mano di Dio, il regista non ha solamente detto di sé in modo non psicologicamente convenzionale seppure sempre forte e invischiante ma ha raccontato di quella generazione: la mia, dei miei amici, dei miei genitori. Un sacco di persone per cui la famiglia è stata la base portante di un Paese, l’Italia. La famiglia piccola o grande – la mia è stata una famiglia numerosa ad esempio – che ha creato reddito, ha mosso l’economia ed ha generato cose buone.

Certo poi il crollo c’è stato e i sintomi si vedevano già a quel tempo, sebbene ci si illudesse che sarebbe durato per sempre il «periodo delle vacche grasse».

Guardare questo film, è accettare l’idea che tante cose sono cambiate ma che dal meglio che ci è rimasto, dobbiamo ripartire. Sì, anche a me la realtà non piace (quella di ora), ma non mi sono mai «disunita», anche se la vita e le persone ci hanno provato.

Sorrentino ci ha offerto una lettura del passato: il suo, il nostro. Lo ha fatto dandoci l’opportunità di leggerlo, ascoltarlo, cantarlo, per riattualizzarlo nel presente.

Andate a vederlo il film. Leggetelo voi stessi con i vostri occhi, le vostre orecchie e con i vostri stomaci, uniti ai vostri genitali. Sorrentino e Napoli si capiscono meglio se testa, stomaco e genitali stanno insieme attaccati.

Napoli l’ha omaggiata eccome, Sorrentino! Ad un certo punto della storia, Fabietto finalmente si decide a farci sentire oltre alle urla per inneggiare Maradona, l’atto d’amore più bello di Pino Daniele per la sua città: Napule è.

Il film, distribuito da Netflix, può considerarsi la ripartenza di Sorrentino. Il regista ha messo uno stop – direi – a una fase di stanchezza. Basta leggere andare a curiosare tra i nomi della squadra di lavoro per accorgersene. Alla fotografia non c’è più il partner storico Luca Bigazzi, sostituito da Daria D’Antonio; cambi anche per scenografo, costumista e produttore.

In una sua dichiarazione a Repubblica, ha infatti dichiarato:

«Lavorare sempre con le stesse persone è una cosa meravigliosa perché si crea una grande famiglia, una grande intesa però si entra anche in una dimensione di routine; stanchezza reciproca… Nessuno sorprende più l’altro e volevo ritrovare un po’ di adrenalina. Ho cambiato anche e soprattutto lo stile».

Se poi voleste una sintesi esaustiva del film, la troverete nei titoli di coda. Prendetevi il tempo per ascoltare i suoni in sottofondo, ma prima meditate su questa frase sibillina:

«Ma lo sai come fanno i motoscafi offshore quando vanno a 200 all’ora? Tuff, tuff, tuff, tuff…».

 

 

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