Antefatto. Abbiamo scongiurato l’incidente diplomatico – Si sa, evitiamo di rispondere a tante chiamate sui nostri telefoni perché presi di mira, ogni santo giorno, da call center e operatori che propongono «di l’acqua o sali». L’ho fatto io e l’ha fatto Alfio Barca, non avendo il numero in rubrica, non riconoscendo il mettente, non abbiamo risposto. Un pomeriggio però ricevo una mail e allora iniziano a sorgere alcuni dubbi. Informo Alfio e Roberto. Ed ecco che allora l’arcano si svela e dopo chiarimenti – ometto il resto degli sproloqui – veniamo a capo della questione. Le telefonate, quasi disperate, provenivano da Pippo Formica di Buccheri, il quale con tanta pazienza, amore, e sino allo sfinimento, ci invitava al primo «Festival della cucina iblea». L’ultima mossa giocata, quella di inviarmi una mail, il cui account gli avevo fornito durante un pranzo a «U locale», l’osteria che gestisce con passione insieme al fratello Sebastiano, cuoco contadino. Dunque, è proprio il caso di dirlo: mai mail fu più provvidenziale.
Prima di proseguire nella narrazione, desidero ringraziare Alfio Barca per avermi dato il piacere e la gioia di incontrare, conoscere e poter dialogare con persone davvero uniche e speciali, degne di essere annoverate tra i siciliani eccellenti, a sfatare quell’atavico immobilismo di cui siamo tacciati da troppo tempo. La Sicilia è ricca, ed ha figli amorevoli che la accudiscono, nella tradizione di cura che fa parte delle nostre tradizioni familiari così come si rispettano e si onorano la madre e il padre.
La partenza e il viaggio – In cinque: Alfio alla guida, Roberto davanti con lui. Dietro: Marinella, «jò ‘nto menzu comu u pitrusinu», e Letizia. Capirete che quei due poveretti con tre donne non potevano avere speranze. Già Roberto aveva sperimentato poco tempo prima, durante la visita a Polizzi Generosa, cosa significano tre donne in un’auto, però quando due di queste donne sono le rispettive mogli, allora l’impresa è degna dei Titani. Mogli lo so che state ridendo a leggere queste righe.Il bello dello stare insieme e della condivisione è imparare gli uni dagli altri, divertendosi.
Il viaggio è andato bene con soste brevi perché noi signore dobbiamo far pipì più spesso e pause sigaretta per chi fuma. Insomma, tra rievocazioni del passato che ci lega, amici e parenti comuni, Letizia che si innamorò perdutamente della beltà di una mucca – eviterò di riportare le sue esplosioni di meraviglia ma immaginatela come se si trattasse di Heidi con le caprette che fanno ‘ciao’ – ce l’abbiamo fatta e siamo riusciti ad esserci per goderci il primo «Festival della cucina Iblea» nel bosco di Santa Maria a Buccheri. Quanto è bello il progresso quando ci assiste! Evviva le mail!
Il luogo e il programma della giornata – Buccheri in siciliano e Bucchieri nel dialetto locale è un comune italiano di poco più di 1.800 abitanti, e fa parte del libero consorzio comunale di Siracusa in Sicilia. Sabato 16 luglio scorso a partire dalle 9:00 e sino alle ore 18:00 a Parcallario – zona attrezzata, bella e piena di famiglie e di bimbi giocanti nel suggestivo Bosco Santa Maria – si è tenuta la prima edizione di un festival che ha ottenuto riscontri notevoli ed ha riacceso l’attenzione su una zona stratificata per storia, tradizioni, cultura: un microcosmo ricco come lo è il macrocosmo Sicilia. In questi giorni, ho avuto modo di leggere una ottima rassegna stampa e di vedere che anche i telegiornali ne hanno offerto servizi di grande qualità.
L’evento si è volutamente svolto all’aria aperta per consentire una immersione totale nella cornice naturalistica del bosco di Buccheri. Sono state allestite oltre 20 isole culinarie, a tema, con degustazioni, show cooking, esposizioni, senza scordare gli stand dei vini e quello del rum. La manifestazione ha accolto tutte le località dei Monti Iblei, con numerose realtà locali del settore enogastronomico, provenienti in particolare dalle province di Siracusa, Ragusa e Catania.
Il programma ha previsto la Colazione del contadino con la preparazione e la degustazione della tipica colazione che veniva fatta anticamente dai contadini di Buccheri. Il trekking nel bosco: un’escursione naturalistica nel bosco di S. Maria alla scoperta della flora e della fauna tipica del luogo e delle proprietà delle erbe aromatiche. Visite guidate, trekking, show cooking, conferenze, laboratori didattici e culinari, il cibo come esperienza di vita e di identità con le sue 20 isole culinarie e 40 tra produttori e chef d’eccellenza, con piatti e pietanze che hanno narrato un angolo di territorio del Sud Est isolano. Il Festival, fa parte del più ampio progetto «Taula Matri – il cibo nelle terre del Verga», ed è stato realizzato grazie alla collaborazione tra le associazioni IGEA, VALDINOTO.IT, e il patrocinio del Comune di Buccheri.
I temi affrontati alla conferenza – Per fortuna siamo giunti in tempo – sempre grazie alla precisione e alla grande organizzazione di Alfio – per fare un primo giro di esplorazione, goderci le atmosfere festose e nonostante il caldo assaporare gli aromi e i profumi dei prodotti mescolati a quelli del bosco. Ottima accoglienza, tutto ben organizzato e immaginate i miei amici fotografi «click click» mentre noi signore… pure le signore giravano video e facevano foto, anche loro attente osservatrici degli ambienti. Io no, a tratti apparivo distratta e invece, giravo, guardavo e fissavo tutto con gli occhi, il naso, le mani e perché no, pure con la bocca.
La conferenza, come tutto il resto si è tenuta all’aperto, in un grazioso angolo con panche e uno schermo. Ha moderato l’incontro Francesca Ercolini, direttrice di VALDINOTO.IT. La dottoressa Ercolini ha toccato uno dei punti nevralgici dei vari aspetti sul turismo nell’epoca del glocal, soffermandosi sul turismo etico ed esperienziale.
Una definizione precisa del tema trattato la riporta il sito sul turismo esperienziale ed è la seguente: «Il Turismo Esperienziale è un movimento globale in crescita che coinvolge i turisti durante il viaggio in una serie di attività indimenticabili con un forte impatto personale. Attività che colpiscono tutti i sensi e creano connessioni a livello fisico, emotivo, spirituale, sociale e intellettuale».
«Il turista vuole fare full immersion, una tendenza che sta esplodendo e il turismo etico aiuta le comunità locali con l’acquisto dei prodotti a chilometro zero», ha precisato la Ercolini. Acquistare i prodotti del luogo dunque dà l’avvio a un’economia circolare e virtuosa che coinvolge tutti. «Ne è un esempio – ha continuato – l’adozione di un albero o di un vigneto. Mentre il turismo enogastronomico valorizza le mete meno note, per arrivare a un obiettivo non facile da applicare, quello della destagionalizzazione e della fidelizzazione dei viaggiatori, che vivono, si innamorano, vogliono la qualità e tendono a tornare anche per i prodotti di eccellenza».
Di fatto, le eccellenze degli Iblei con le aziende che vi operano sono patrimonio di tutti e opportunità di crescita per il territorio.
Molto centrato e ben strutturato anche l’intervento del sindaco di Buccheri, Alessandro Caiazzo – un sindaco giovane, ne ho conosciuti molti in questi anni, preparati e legatissimi alla loro terra –, il quale ha anzitutto ringraziato i produttori che hanno risposto all’invito di IGEA e VALDINOTO.IT e hanno contribuito a possibile l’evento. Il sindaco ha spiegato che Buccheri si trova al centro di Ragusa, Siracusa e Catania ed ha una fortissima vocazione agropastorale e turistica. Questo è stato fondamentale per far conoscere il territorio dal punto di vista paesaggistico e storico ma anche per le eccellenze dell’enogastronomia. «Siamo convinti – ha detto – che il futuro è proprio nel connubio tra enogastronomia d’eccellenza e il territorio perché lo racconta». Caiazzo ha poi proseguito evidenziando i prestigiosi riconoscimenti che Buccheri ha ricevuto negli anni appena trascorsi: «nel 2015 ottiene il riconoscimento dell’olio di qualità; nel 2021 nonostante il Covid diventa migliore destinazione per la cucina ed entra a far parte dei «Borghi più belli d’Italia e poi più bel borgo di Sicilia. Buccheri è volano di sviluppo e di ripresa di tutto il territorio ibleo».
Tra i vari interventi, susseguitisi durante la conferenza, vi è stato anche quello della dottoressa Roberta Cafiero, Dirigente MIPAAF, funzionaria del ministero delle Politiche agricole, ambientali e forestali che si occupa del riconoscimento dei prodotti a marchio DOP, IGP e PAT, i grandi protagonisti del Festival.
La Cafiero, partenopea ed amante della cucina siciliana – non scordiamoci i legami che abbiamo con Napoli – ha ben spiegato che «i prodotti riconosciuti devono avere caratteristiche tecniche e organolettiche legate al territorio di produzione e riconoscibili per quel territorio. Il prodotto può essere fatto in quel modo e solo in quel posto; nome del prodotto e uso comune consolidato da almeno 25 anni. Buccheri ad esempio è leader anche per i PAT «prodotti agroalimentari territoriali» che furono dichiarati patrimonio culturale […] È fondamentale l’abbinamento cibo e turismo».
Tema ripreso anche da Pippo Formica, visionario e mente eccezionale. Una fucina di idee e progetti portati avanti con tenacia e tanto amore. Il patron di «U locale» – vi consiglio di andarci perché farete una vera esperienza di totale immersione nella storia, nella tradizione e nei sapori della cucina degli Iblei – ha fatto un excursus che definirei storico-istrionico, illustrando la storia della cucina isolana e il progetto articolatissimo che parte da «Taula matri». Un viaggio per rivalutare, attraverso la gastronomia, il territorio con i PAT. Il festival è per l’appunto una costola del progetto. Vi è infatti anche un’altra sezione, quella della via del freddo, perché la granita nasce in Sicilia. A Buccheri ad esempio ci sono 24 niviere e la storia delle fonti conferma che il ghiaccio era esportato in tutta la Sicilia e arrivava persino a Tunisi.
Formica «cunta»; è un «cuntastorie». Sa abilmente intrattenere gli ospiti veicolando un messaggio di rispetto e orgoglio di appartenenza alla Sicilia, quando mostra i prodotti del territorio: «Ci tagghiu a testa ci tagghiu a cura ed ecco affacciarisi na bedda signura», ed ecco che appare il fico d’india perché i clienti «s’arricriunu e lasciano pure la mancia… Da me si parla solo in siciliano…». Pippo Formica scrive in siciliano, dividendosi tra il ristorante le escursioni. Ci incanta, narrando della sua vita, del cibo, della famiglia. Ci mostra il coltello ‘nsirrato (a serramanico) di suo padre; racconta di profumi, di fatiche e di sacrifici usando come canovaccio le ricette della tradizione, che rischia seriamente di perdersi, e ci emoziona con queste parole che toccano il cuore e ci uniscono in un coro unico, alla maniera dei «vinti» verghiani: «Taula matri taula matri, matri terra matri terra ca tantu ha datu e tantu dai; t’attocca ripettu, ripettu cà non arriva mai».
Cibo, vino e un pezzo di cuore l’ho lasciato al rum – Latte e miele; scacciuni chi pipi corni, i funciddi; la carne di capra nel pane e l’uovo con la salsa di zafferano; l’olio. Un bendidìo che ci ha ricolmato anima e corpo, restituendoci il senso della vita. Perché la vita, signori miei, è una e unica e passa dagli alimenti, dalla terra, perché noi siamo fatti cibo e di terra e a lei ritorneremo, con l’auspicio di lasciare qualche testimonianza del nostro passaggio. Augurandoci di aver fatto qualcosa di buono per i nostri figli e per chi verrà dopo di noi. Ora, voi lo sapete che mi piace scovare sempre qualcosa di particolare ovunque io mi rechi e ad esempio ho molto gradito le lumache «a strica sali» che, come ha spiegato Pippo Formica, sono originarie di Messina. Il cibo migra insieme ai popoli e le contaminazioni sono necessarie per avere una cultura di eccellenza. Il cuore però l’ho lasciato al rum siciliano – sì ma non è finita come con il liquore all’alloro di Santina a Polizzi, non cominciate a ridere per favore – e facendo riferimento a questo superbo distillato concluderò il mio contributo sul «Festival della cucina iblea».
La storia del rum in Sicilia – «Alla fine del pranzo venne servita la gelatina al rum. Questo era il dolce preferito di don Fabrizio e la Principessa aveva avuto cura di ordinarlo la mattina di buon’ora». Ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa si fa riferimento a un distillato che nell’immaginario collettivo è caraibico e invece:
«La risposta è semplice: la canna da zucchero, da cui si distilla il rum, era già stata portata nell’isola dagli Arabi nell’800 d.C., seicento anni prima che Cristoforo Colombo la introducesse nelle “nuove Indie”. Fino al 1600 la coltivazione della canna da zucchero era presente in tutta la Sicilia ma durante il 1700, il 1800 e la prima metà del 1900 rimase solo ad Avola dove, come riportano i viaggiatori dell’epoca, si produceva “un rum di ottima qualità, che vendesi a caro prezzo”. Il declino della produzione di zucchero siciliano inizia nel 1600, a causa di cambiamenti climatici che, come affermano le fonti dell’epoca, ridussero notevolmente la disponibilità di risorse idriche, di cui “la pianta è voracissima”. Nel giro di pochi decenni la coltivazione scomparve quindi dal resto dell’Isola, ma rimase solo ad Avola per volontà dei Marchesi Pignatelli Aragona Cortes che continuarono a produrre zucchero nel loro feudo».
Queste e altre curiosità sull’origine della produzione del rum siciliano le trovate nel sito del Rum Avola prodotto da Corrado Bellia, che ho avuto il piacere di incontrare a Buccheri. Gli arabi infatti introdussero la canna da zucchero molto prima che Colombo intraprendesse il suo viaggio anche perché prima di allora per dolcificare si usava il miele. Ma gli usi di questa pianta nel corso dei secoli sono stati tra i più disparati e tra essi vi è l’estrazione del succo da cui poi si perverrà al distillato.
Bellia è il presidente del «Consorzio della canna da zucchero siciliana» che lui stesso ha definito come «lo strumento necessario per riunire le nostre forze e promuovere la rinascita in Sicilia della produzione di canna da zucchero, secondo metodi rispettosi dell’ambiente e dei consumatori. Il 2021 infatti è stato l’anno del ritorno in Sicilia della coltivazione della canna da zucchero, che veniva coltivata e trasformata in preziosissimo zucchero fino al 1600. La “cannamela” era poi scomparsa dal paesaggio siciliano, per varie cause concomitanti, tra cui profondi cambiamenti climatici e l’arrivo in Europa della produzione caraibica. Unica eccezione la città di Avola dove, fino all’inizio del 1900, se ne distillava il succo per produrre Rum. Lo scorso anno alcuni imprenditori locali, con passione e determinazione, hanno reintrodotto le piantagioni e ripreso la produzione del Rum 100% siciliano che, a detta degli esperti, non ha nulla da invidiare ai migliori distillati del panorama mondiale».
Posso testimoniarlo anche io, inebriata da un aroma delicato ma ben strutturato. Uno spirito che si sentiva anche a distanza, con le narici, e che avvolgeva prima il palato per abbracciare morbidamente la gola in una perfetta unione di stomaco e cervello.
La nascita del «Consorzio della canna da zucchero siciliana» è stata costituita dall’Azienda Agricola Corrado Bellia di Avola, dalla distilleria Giovi di Valdina e dalla Distilleria Alma di Modica.
Non resta allora che attendere la seconda edizione del «Festival della cucina iblea» e augurare il meglio alla gente della Sicilia laboriosa, che non si rassegna ad esser etichettata come vinta.