Napoli fa uno strano effetto. Non è perché siamo a Sud, o lo è solo in parte. Una città come questa è, più di altre, un concentrato di energie ancestrali e telluriche. Come se una dea potente vi si rintanasse e nonostante la si volesse a tutti i costi far apparire, si celasse lasciando scie di forze, a metà tra l’oscuro e il bagliore che acceca.
Una città che possiede, in ogni fibra del suo essere, il retaggio della capitale: si acconcia, magari esagerando un po’, ammalia e seduce. Trasuda sensualità in un frusciare di vesti barocche ostentando una nobiltà che non vuol cedere alla decadenza magmatica dei tempi attuali. A Napoli, «miseria e nobiltà» stanno affacciate ai balconi; hanno i volti delle donne e i sorrisi sgangherati degli scugnizzi. Te le trovi una in faccia all’altra.
Le case «sgarrupate», come le vite di formicuzze affamate, lanciano messaggi alle tenute eleganti in uno sfoggio di Barocco e Liberty. Ci sono strade dove le vedi abbracciate: sono comari abituate a risolvere meglio e più degli uomini le cose della vita, anche le più rognose. Pratiche e dirette, ma questa è caratteristica comune alle donne del Sud. Napoli a tratti mi ricorda Catania, qui però vi è un di più: una tracimazione di vite in suoni.
Esiste il vulcano, il Vesuvio; da noi abbiamo la Signora, l’Etna, eppure aveva ragione Turturro quando nel 2010, nel film Passione disse: «Ci sono posti in cui vai una volta sola e ti basta… e poi c’è Napoli».
Ho osservato e mi sono lasciata trascinare da questo fiume di energia che si traduce in suoni e in musica; e in risate, in lacrime e di nuovo in musica. Non lo si può mica ignorare. Devi entrarci dentro per forza. È magnetico, ne resti soggiogata. Napoli è tanto femmina e dapprima la invidi; poi ti fermi e pensi a quanto sei femmina tu.
Ha questa capacità, Napoli: ti fa scoperchiare la parte più antica e ti riconnette con l’intimità della terra stessa. Sì, è una Dea potente e millenaria.
La luce qui è differente. Non mi si fraintenda. La luce è quella del Sud. L’energia si muove con sfacciataggine e si burla delle nostre certezze di controllo. Se vai a Napoli, meglio che metti da parte le ansie da programmazione. I piani saltano.
Eppure la luce è differente. C’è il mare, è vero. Il golfo; i colori sono forti ma è come se tutto apparisse meno netto. Faccio un esempio: da noi la luce acceca ma ristora. Si tramuta in tinte che abbracciano. L’Etna vista dalla mia città, Taormina, la luce prima la accoglie e poi la riflette e ti ci avvolge dentro. A tratti, sembriamo sospesi dentro questa luce.
Napoli è luce ed è energia; tuttavia la luce qui non straripa, viene assorbita. «Come assorbita – starete pensando – e che fanno la ingoiano?».
In effetti, è così. Il Vesuvio la luce, non la accoglie e la riflette, la ingoia e la trattiene. Attorno sembra vi sia sempre un alone e non dipende dalle giornate. Il vulcano è un divoratore di luce.
La città, carica oltremisura di monumenti e ornamenti, una carabattola da esposizione, la luce se la mangia perché altrimenti rischierebbe di piombare nel buio e nel silenzio. Napoli non vuol mai dormire, ha paura del sonno perché la avvicina troppo all’oblio e alla morte. Vuol vivere, Napoli.
Allora guardando fitto dentro agli angoli e cercando di oltrepassare la cortina delle persone, ho visto che vi sono luoghi in cui la luce entra senza bussare, e si fa acchiappare in un girotondo di esistenze: sono gli androni e i cortili dei palazzi. Antri aperti come bocche spalancate; invece dell’aria respirano la luce. E le volte, le scale, persino gli ascensori vivono di quest’energia luminosa.
Sono vere e proprie cattedrali, tra edicole votive dedicate a Maradona o ai santi, che non sempre in vita, sono stati tali. Religione e superstizione: magari ci trovate pure un piccolo presepio anche se non è periodo. Ma qui ogni momento è buono per pregare, per cantare o per imprecare.
Sì lo so, è tipico del Sud, ma continuo a sostenere che a Napoli, tutto è amplificato. Le voci di questa città sono ritmate anche durante il dialogo. Da un momento all’altro potrebbe partire una canzone o una sceneggiata. Un teatro a cielo aperto o tra le mura domestiche.
I cortili e gli androni sono di per sé un microcosmo. Sono come le chiese, che a Napoli sembrano di numero indefinito. Appartengono a tutti: credenti e profani. Ti convincono che i miracoli esistono e che i sogni, quelli impossibili, si realizzano.
Luce nelle strade, nei vicoli, ed energia che viene quotidianamente divorata. La gente di Napoli ha bisogno di nutrirsi di questa luce, di questa energia, o smetterebbe di vivere.
Una città, come questa, necessita di un surplus di movimento. Ha una vitalità che richiede forze aggiuntive.
«Ok – obbietterete – ma allora l’indolenza e il lasciarsi andare agli atteggiamenti flemmatici?».
Solo quiete apparente. La gente di Napoli ha fame da tempo immemore; una fame antica come lo è la Dea, che pretende sacrifici di sangue e di dolore.
La Dea genera energia e luce, ma vuole un tributo fatto di carne umana. Bisogna reagire e difendersi, come la si rabbonisce, la Dea?
Ci si carica di luce e di energia, si indossa la camminata migliore e si inizia a ribattere con la musica, prendendosi il tempo per un caffè e una sfogliatella, dopodiché si ricomincia il giro. Anche il dramma qui è contornato dal suono; l’offesa assume le tinte di un duello tra voci diverse.
La telefonata chiarificatrice avviene tra un filo steso del bucato e le voci una in faccia all’altra. Pure quando rispondono al telefono, quello vero, esordiscono con «Uè Uè». Vi verrebbe voglia di cantare. È tutta questione di luce e di energia, mangiata, tritata e metabolizzata, per resistere all’oscurità.
«Napule è nu sole amaro», sono parole che spesso mi tornano alla mente. Pino Daniele che ha santificato il suo amore per Napoli in questo testo, sapeva che qui la luce è differente.
Luce, energia e vibrazioni: suoni che mascherano il silenzio. Tra le macerie, giochi di ragazzi e abbracci di innamorati. Odori, suoni, che s’annidano dentro al cibo di strada e i locali eleganti.
Suoni di traffico e suoni di risate. Ma c’è il silenzio, e quello te lo ritrovi pure se fai finta di nulla, perché è meglio sentire i suoni.
Ogni città ha problemi irrisolti. Contiene sacche di gente al margine. Qui i sacchi umani, che sembrano cose avvolte in coperte o sotto ai cartoni, li vedi sotto la galleria di Piazza Plebiscito, o in un angolo riparato di Palazzo Reale. Sono ovunque, ma stanno in silenzio. Cercano di non dare fastidio, di non farsi notare. Se si fa attenzione, però, si può sentire il suono del sonno. Bisogna saperlo cogliere: un sonno disturbato che pare il limbo prima della dannazione eterna.
La luce cercano di tenerla lontana e la troppa energia non gli giova a vivere; gli ricorda che devono morire, prima o poi.
La signora tutta truccata e col culo rifatto, fresca di lifting, che porta a spasso il cagnolino, indecisa se fargli far pipì su quegli stracci, che sono esseri umani perduti, mi ricorda che la Dea è in agguato. Potente, anche da questi poveri diavoli vuole un tributo e loro cercano di rendersi invisibili, di non mostrarsi.
«Shhhh, bisogna stare zitti, o la Dea ci troverà e ci trascinerà con sé dentro le viscere della terra».
E se invece la Dea ne avesse vera pietà e, colma di amore, rivolesse con sé questi figli dimenticati dai loro stessi fratelli? Una madre non vuole che i figli soffrano; preferirebbe ucciderli lei stessa, se la vita che li attende si prospettasse un limbo, dove la luce viene assorbita ma non produce energia.
I suoni di Napoli seducono; Partenope ammalia e non si può resisterle.
Ho cercato, nelle varie scansioni del giorno, di sentire le varie sfumature di suoni e silenzio.
Al Monastero di Santa Chiara o alla Certosa di San Martino – per citare alcuni simboli della città – ogni cosa si ammanta di sacro, solo che il silenzio che benedice e dona speranza di nuova luce, nuova energia e nuovi suoni, l’ho incontrato poco prima della chiarità dell’alba. Io che m’alzo presto, gustando il primo caffè della giornata.
Ho visto la luce benevola ed ho colto la pace che accompagna, chi si è appena mosso per andare a faticare oppure chi non vuole abbandonare il letto. Ho sentito la carezza del silenzio e infine, il «buongiorno» originale di un altro cittadino napoletano: un gabbiano che, invece di stare vicino al mare di Santa Lucia, preferiva fare colazione nelle vie adiacenti al palazzo dove soggiornavo.
Ecco, lo capite ora quando dico che i suoni di Napoli sono silenzio mascherato?!
A Napoli e agli splendidi amici che ho trovato.