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LA FOTO CHE PARLA: ENRICO LA BIANCA

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Il gruppo fotografico Luce Iblea all’interno della programmazione online ne I martedì di Luce Iblea, in diretta Facebook, martedì 23 febbraio alle ore 21, avrà ospite per la rubrica “La foto che parla”, Enrico la Bianca.

Interviene: Fiorella Cappello; modera: Marcella Burderi. Sono previsti i saluti del presidente dell’associazione Renato Iurato.

Ho avuto il piacere di conoscere La Bianca insieme ad Attilio Scimone, lo scorso anno, al penultimo appuntamento di “Immagini & Parole”, organizzato dall’associazione fotografica “Taoclick” – a cura di Roberto Mendolia (RGK), tenutosi nella saletta conferenze dell’archivio storico di Taormina.

Un incontro con due fotografi di spessore che ha confermato la necessità di riservare sempre maggior spazio all’universo del linguaggio fotografico; oggi più che mai unito in modo inscindibile alla parola scritta. Con Enrico La Bianca, e con altri fotografi, è nata una corrispondenza di comune sentire che mi ha spinto a camminare in alcune sue immagini estraendone delle narrazioni. Una tra esse, “L’equilibrista”, è stata inserita – con il plauso dello stesso Enrico – all’interno del mio ultimo progetto: 2020 VISIONI NARRATE, dove per l’appunto io passeggio dentro le immagini dei fotografi presenti e racconto le storie nascoste. Quindi posso sostenere sin da ora che quella di Enrico la Bianca è in senso letterale e metaforico “una foto che parla”. Ma ciò investe lo scenario attuale della fotografia dove le immagini trasmettono e comunicano. Si procede ad uno sversamento grafico da cui emergono parole e narrazioni.

Enrico La Bianca, è un fotografo che non teme di andare oltre i confini prestabiliti dai canoni fotografici, ponendo in attuazione, ove necessario «il massacro della fotografia – come lui stesso ha precisato – senza scordare che prima bisogna conoscere le regole se si vuol trasgredirle». Nella sua nota biografica salta immediatamente all’occhio che si è di fronte a un altro sperimentatore:

«La Bianca comincia a fotografare a 18 anni. I suoi primi soggetti sono i familiari e gli amici ritratti in un piccolo studio arrangiato tra le mura domestiche. Negli anni Ottanta svolge l’attività di fotografo di scena per una cooperativa teatrale Ennese. Nel 1981 documenta la manifestazione teatrale denominata “Incontroazione” che vede la partecipazione di numerosi gruppi teatrali da tutto il mondo. Il suo reportage viene pubblicato nella rivista “Cartagine” specializzata nel settore delle arti visive e concettuali. In quegli anni di studio, indaga il rapporto tra la fotografia e le altre arti visive, collaborando con pittori locali alla realizzazione di opere e mostre all’aperto nei quartieri della città di Enna. La sua attenzione verso i problemi del sociale si concretizza, ben presto, in una cifra fotografica di carattere espressamente umanistico. Nel 1982 pubblica il libro “Luoghi e gente di una memoria” ricerca sulla “Condizione dei giovani ed anziani di Enna”, edito da ILA Palma di Palermo. Dopo il 1982, una lunga riflessione sulle ragioni del suo fotografare lo porta ad una pausa fino al 2010, anno in cui riprende a fotografare. Nel 2014 pubblica il suo portfolio “Roma-Metro linea B1” sulla rivista “Cameraraw.it”, e partecipa ad una mostra collettiva sul paesaggio presso La Galleria “Luigi Ghirri” di Caltagirone. Nel 2015 espone presso lo “Studio LAB” di Catania con una personale sui paesaggi marini siciliani e partecipa ad una mostra collettiva sui “Vattienti” di Nocera Terinese. Nel 2016 pubblica “Segni di fede”, Maurizio Vetri editore, Enna. Sempre nel 2016 il suo maggior lavoro. Pubblica infatti per le edizioni Gente di Fotografia, il libro fotografico “Sulle ali della Farfalla”, nato da una collaborazione con la ONG “Crescere Insieme” di Verona, che racconta della vita dei bambini e delle mamme in Zambia. Nel 2017, viene premiato al Med Photo Contest “Mediterraneo Mare Nostrum”, del Med Photo Festival ed è tra i primi undici al London Photo Festival nella sezione “Abstract Photography”. Ha collaborato con l’accademia di Belle arti di Catania per pubblicazioni interne».

La Bianca, ama la sperimentazione a tal punto che in merito ad alcuni suoi progetti legati all’urbano, ha dichiarato di aver cercato proprio i «momenti in cui la luce era sbagliata». Il paesaggio urbano in Sicilia infatti appare composto di luce. Qui, ombre emergenti o rarefatte fluttuano, e le sagome sono come chiazze d’inchiostro. La Bianca ha una visione dell’urbano molto dinamica, riferita all’esigenza di dire l’antropico mediante un messaggio onirico e poetico. Su queste foto non ci sono grossi interventi.

Riguardo ad un altro testo-progetto, Sulle ali della farfalla, il fotografo ha invece dichiarato:

«Si tratta di un libro poetico fin dal titolo che racconta con leggerezza, dei bambini dell’Africa e della bellezza che si manifesta dove è più difficile trovarla. I bambini rappresentano quel frammento di vita umana che consente alla società di poter sperare e sognare, di percepire reale ciò che ancora deve realizzarsi, di cogliere la verità delle cose dentro la genuinità dei loro rapporti, di credere nelle molteplici possibilità che ogni bambino cela fin dalla sua nascita. Essi sono la certezza, qui ed ora, di una storia che intende avanzare, precorrere e generare nuove condizioni di vita. È ai bambini che si deve la consegna di una storia che sa valorizzare il presente, custodendo senza nostalgie il passato e provvedendo a sperare in un futuro che avanza inesorabilmente senza incertezze: una storia cioè che sa praticare le normali pianificazioni di vita, mediante quella creatività dello spirito umano, presente nella fanciullezza imperitura dell’essere umano».

Da questo progetto prende l’avvio quello de I Fogliacci, in cui il caotico origina il bello, quasi fosse un bizzarro scherzo del destino, che tuttavia contiene il messaggio già presente in Sulle ali della farfalla. La Bianca, in tal senso ha voluto precisare che

«I Fogliacci sono il testo a stampa nato da un assemblaggio di varie foto. Loro li buttavano, io ne ho fatto una pubblicazione. Il risultato non è la somma di due immagini ma una nuova immagine: un’Africa nuova. Il caso ha dato luogo al messaggio; perché è facile riportare nelle immagini la disperazione ma io ho mostrato i bimbi che giocano. Il caso ha fatto il resto, creando un’opera a metà tra fotografia e opera d’arte».

Il fotografo vede l’immagine e il risultato finale è un libro d’artista a tutti gli effetti. La Bianca ha sperimentato oltre i limiti anche in IDENTITY. Qui la macchina fotografica viene abbandonata. Vi è l’interesse sociologico verso lo straniante mondo nipponico, tra l’abbandono delle ataviche tradizioni e il potenziamento delle tecnologie, nell’accanito spezzettamento dell’Io, sino a giungere alla sparizione dell’Essere, che se oltraggiato e sfaldato nell’orgoglio, si nebulizza. La ricerca su Tokyo è stata condotta con l’uso del Web con screenshot da Google Maps e Street View. Ne è venuto fuori un testo modulare: una Fanzine al cui centro vi è l’immagine della tradizione, con alcuni Samurai, mentre il resto delle immagini può essere composto e ricomposto dal fruitore. Anche la sinossi dell’opera è staccata su un foglietto esplicativo a parte, stampata sull’icona per indicare la toilette.

Se il primo lavoro di Enrico La Bianca è del 1982, aveva 24 anni, da lì prende le mosse il suo interesse per il sociologico, e nel caso di specie sul rapporto tra vecchi e giovani, i quali hanno medesimi rituali in un’anagrafica differente. Partendo dai luoghi pubblici sino a confluire nei ritratti ambientati in una casa di riposo. Allora è più che azzeccato quanto detto da Roberto Mendolia sulla vicinanza di questo progetto ai i lavori di Mario Giacomelli. La Bianca, d’altronde, non ha avuto alcuna difficoltà nel definirlo quale suo “Padre putativo”.

Vi invito quindi a seguire l’appuntamento social che lo vedrà dialogare sul suo essere fotografo e autore e vi lascio con queste parole che lo stesso La Bianca pronunciò all’incontro di Taormina:

 «Sono un autore che esercita la sua personale visione fotografica. Il linguaggio fotografico traduce le emozioni personali. La mia ad esempio è una fotografia fuori dai canoni classici. Ho ‘lavori’, prodotti senza la macchina fotografica. Sono un uomo del mio tempo e lo vivo e lo fotografo, cercando di essere sempre me stesso. Nessun trucco, nessuna presunzione da “artista”».

Lisa Bachis

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