LA FOTOGRAFIA AI TEMPI DEL COVID-19. A “CAMERE CON VISTA”, AUGUSTO FILISTAD E SANDRA SÁNCHEZ MARTÍN NIETO

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Foto di Sandra Sánchez Martín Nieto
Un momento dell'incontro di ieri
Foto di Sandra Sánchez Martín Nieto

Procede la quarantena, ogni giorno sembra un traguardo giungere sino alla fine. Ce la stiamo mettendo tutta anche quelli, più coriacei al rispetto delle regole, stanno, per cause di forza maggiore, cedendo alla resistenza del quotidiano domestico. Non vi è altra via per garantire protezione a noi stessi e a coloro che amiamo e non vi è protezione migliore che restare uniti in un fiduciario atto d’amore verso il prossimo. Ciascuno prova a dare un contributo per alleggerire il senso di oppressione che ci stringe il petto e ci fa sentire malati di cuore. Tutti, nessuno escluso. I fantastici “ragazzacci indisciplinati” di “Taoclick stanno facendo la loro parte e alla loro maniera, un po’ scanzonata e un po’ poeticamente stralunata. Osservo tutto, sebbene con il filtro di uno schermo, e so cogliere il sostrato di sentimenti e di preoccupazioni che ci stringe tutti, nessuno escluso, in questo nodo scorsoio di energie contrastanti. Loro hanno trovato il modo per renderci, ancora una volta, partecipi della lettura del reale mediante le immagini, facendoci cavalcare onde tra luci, ombre e spettri cromatici, per narrarci di persone e di luoghi, restituendoci un pizzico di fiducia in questo nostro mondo.

Ieri si è conclusa la seconda settimana di “CAMERE CON VISTA”, che ha visto in diretta social, in tandem, Augusto Filistad giovedì 26 e Sandra Sánchez Martín Nieto domenica 30 marzo. Orario, le 18:00. I “Rogika’s Friends” con tanto di slogan sulla locandina: #iorestoacasa, #contagiofotografico, hanno dato il via la settimana scorsa agli INCONTRI LIVE DI FOTOGRAFIA con un messaggio chiaro: “La fotografia non si ferma!”. “JonicaReporter”, il giornale con cui collaboro da anni, diretto da Valeria Brancato, ha ancora una volta accettato la scommessa di raccontarli ed è media partner degli incontri.

Un uomo e una donna si sono avvicendati in due differenti momenti per parlare di fotografia e di rapporti umani, al tempo del Covid-19, in un’epoca che sta prendendo differenti misure e riscrivendo i perimetri del sociale e dell’etica. Magari non ci avranno pensato tanto, fatto sta che i due incontri settimanali hanno avuto un unico filo conduttore oltre all’uso del “Bianco e Nero”: la costruzione di storie fotografiche più simili a foto reportage che a racconti semplicemente biografici. Il punto di vista personale è centrale in entrambi; più meditato in Filistad e più impulsivo nella Sánchez Martín Nieto. Credo dipenda da un’anagrafica esperienziale: nel primo risulta più sedimentata e matura rispetto che nella seconda.

Augusto Filistad non ha voluto etichettare il suo progetto legato a “Istanbul” come reportage, ma tale è. Il suo occhio fotografico ha fatto emergere un interesse antropologico. Partito da più giovane dall’analogico è giunto al digitale. Istanbul, la Bisanzio immersa nell’oro e negli aromi di spezie ed olii essenziali, prende per mano Augusto che desidera essere accompagnato tra soggetti, uomini e donne, che si muovono tra preghiere e andamenti quotidiani e si legano in un passaggio tra il Regno dei vivi e quello dei morti, attraverso cimiteri e quartieri pullulanti di esistenze. La preghiera e la vita nel tempo si alternano nell’incessante ponte tra uomo e Dio. Nelle fotografie di Filistad vi è rispettoso interesse ma non ossessione; sintomo di una maturità dell’uomo che sa cogliere anche aspetti intimi. Si pensi all’immagine della bimba o dei bambini seduti. Quartieri che a ben guardarli ci portano alle nostre “Vanedde” e ai nostri “Curtigghi”, tanto noi siciliani abbiamo dentro di mescolanza razziale e meraviglioso imbastardimento di sangue. Noi che nella nostra mimica facciale e gestuale ci uniamo ad arabi ed europei. Filistad, in concordanza con quanto espresso da Rocco Bertè, per il quale «poco importa il tipo di macchina o l’obiettivo usato», ha deciso – approfittando di un viaggio in compagnia di famiglia e amici – di andare un po’ più a fondo nella vita di un altro popolo per far comprendere quanto di Oriente ed Occidente coesista a Istanbul. Elementi che anche Bertè, in suoi precedenti viaggi, aveva da altre angolazioni “a colori” raccolto.

Ricordo a tutti che la macchina organizzativa di “CAMERE CON VISTA” è diretta da Roberto Mendolia (Rogika), Alfio Barca e Rocco Bertè. A Bertè è affidata la regia mentre in qualità di moderatori ci sono Rogika e Barca. Dietro le quinte, gli altri componenti dell’associazione fotografica “Taoclick”. La diretta su “Facebook” trae spunti e stimoli dai commenti che stanno giungendo sempre più numerosi di puntata in puntata così come la partecipazione del pubblico.

A tal proposito, ho trovato molto interessante quello che la fotografa Ursula Costa ha detto di Filistad: «Lo vedo più spettatore che però non osa». L’atmosfera effervescente e informale ha favorito la resa di Filistad, il quale a mio avviso vuol essere appunto un “discreto osservatore” e non troppo invadente. Ciò ben si confà all’indole personale. Una nota mi preme aggiungerla sulla qualità della fotografia di Filistad. Ritengo che il lavoro di postproduzione sia condotto per favorire un delicato approccio alla società. Vi è un buon dosaggio dei toni grigi e trovo che il suo non sia un bianco e nero troppo carico seppur incisivo. Un bianco e nero discreto e a tratti timido che rispecchia Filistad, così come la composizione o lo scatto rubato.

Il “Diario di una quarantena” della Sánchez Martín Nieto, seppur muovendosi secondo un differente registro visivo e narrativo, va tranquillamente a braccetto idealmente con quello di Filistad.

Qui abbiamo una visione locale e di cronaca degli avvenimenti legati alla pandemia, che ci coinvolgono. La scelta scritturale della forma diaristica vuol dare una visione molto personale e meno distaccata delle cose attorno alla Nieto. Eppure anche qui si è di fronte a un reportage perché, nonostante il taglio più intimista dato dalla scelta del “Diario” che penetra nell’intimità del soggetto narrante, le fotografie sono sequenze di un campo di battaglia diverso e surreale. Uomini, donne e bambini chiusi in casa o sottoposti a turnazioni per fare la spesa e provvedere al procacciamento dei generi di prima necessità. Gesti di rispetto verso il proprio Paese o per quello ospitante. Le immagini caricate del nero di una vicenda tutt’altro che rosea rispecchiano lo stato d’animo della Sánchez Martín Nieto ma non lo completano da sole. In soccorso giunge la scrittura febbrile e tormentata. La scrittura vivifica le immagini e talvolta prevarica su di esse. Attenzione, non vuol dire che l’esperimento non susciti interesse e plauso, anzi si tratta di un progetto da approfondire, ma ritengo che necessiti di un periodo di sedimentazione e riscrittura. La Sánchez Martín Nieto è ancora alla ricerca del proprio “centro di gravità permanente” per dirla con Battiato. Vi è una irruenta pulsione al fare, dettata sia dal carattere ma anche dal desiderio di testimoniare il mondo. Taormina e i suoi abitanti si distaccano dall’immagine stereotipata dei fortunati che vivono in un Paradiso, perché qui l’Inferno ci stringe tutti insieme nella distanza di sicurezza. La città si accende tra i riverberi di luci appannate di una bellezza spettrale che le restituisce un fascino d’altri tempi. La Sánchez Martín Nieto predilige i soggetti umani e animali ma la sua narrazione, che pone al centro lei e il suo mondo, a mio avviso pone sul piano della visione i luoghi in cui il dramma ha svolgimento. Taormina Città non è spettatrice secondaria ma coprotagonista. Dalle domande emerse e dall’apprezzamento che sta ricevendo da più parti, come quelli di Enrico La Bianca, Borrometi oltre che da chi semplicemente si emoziona e si sente meno solo quando la legge e guarda le immagini, il progetto “Diario di una quarantena” sarà estremamente formativo per la Sánchez Martín Nieto anche sul piano tecnico. Infatti i consigli degli altri come Bertè e Mendolia o quello di Barca vanno tutti nella medesima direzione: andare avanti ma imparare ad avere più pazienza e saper dosare gli entusiasmi senza che venga meno il sacro fuoco della passione creativa.

In effetti, ieri, mentre ascoltavo le parole di Sandra Sánchez Martín Nieto, la vedevo ben protetta dai maturi del gruppo, quasi fosse una nipotina. Nelle sue foto, per il momento, emerge più il senso di depressione, ma la sua narrazione è aggrappata alla speranza e al desiderio di resistere, per questo le ho lasciato un commento in cui ho precisato che “il bianco e nero è la danza della luce con l’ombra”. Sono parti essenziali del tutto e vanno accettate come tali.

Questa giovane donna farà strada vista sua la prepotente determinazione. Trovo, inoltre, che sia in buona compagnia perché l’esperienza più solida degli altri la sosterrà senza farla precipitare. E su questo aspetto, in particolare, desidero che soffermiate la vostra attenzione. “Taoclick” non è un’associazione fotografica e basta, è una famiglia. E il bello delle famiglie è che ci si può scannare ma guai a parlarne male.

Al prossimo incontro, Stay Tuned & Cia Putemu Fari!

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