
Gli appuntamenti di “CAMERE CON VISTA,” promossi dall’associazione fotografica “Taoclick” – a cura di Roberto Mendolia (Rogika) – sono entrati nel vivo e le dirette social su “Facebook” hanno fatto di necessità, virtù. “Restare a casa” e intrattenersi con il “contagio fotografico” è uno dei modi migliori per chiacchierare “intorno” all’universo fotografico, al tempo del Covid-19. Giovedì 2 e domenica 5 aprile, alle 18:00, in sinergia con il media partner “JonicaReporter” le finestre virtuali si sono aperte per farci entrare nelle case di Alfio Barca e Rocco Bertè. Così come sottolineato dallo stesso Mendolia: «Camere con vista è un affaccio sul domestico di chi per passione o per professione usa la camera, intesa come strumento per fotografare».
Interessante notare anche l’aumento della partecipazione del pubblico e la sua interazione attraverso i commenti. Un uso virtuoso del mezzo social che va al di là del momento ludico. In effetti, “CAMERE CON VISTA” è un format nato quasi per gioco dal confronto di un gruppo di amici, ma si sa che le cose migliori nascono per gioco e se ci sa fare acquistano il giusto spessore. Qui è andata proprio così.
Giovedì 2 aprile, con i suoi “Istanti siciliani”, il segretario dell’associazione “Taoclick” nonché “non-fotografo” Alfio Barca si è espresso secondo la modalità che più gli è più congeniale ossia quella ordinata e rievocativa dell’Amarcord all’interno delle sue immagini. Molti non sanno che Barca, è colui che struttura con grande accuratezza le “Invasioni Digitali” dell’associazione; un navigatore umano e un amante appassionato di tradizioni e storia. E non toccategli i cimiteri! Devo dire, da addetta ai lavori della ricerca storica, che ha ragione; sia per la cura che mette nella programmazione sia per il fatto che i cimiteri per i loro contenuti di memoria devono essere visitati. Inoltre, molti di essi sono luoghi belli esteticamente.
La non-fotografia di Alfio Barca ha le note del colore ma non disdegna il Bianco e Nero, i paesaggi etnei e i centri isolani mantengono le sfumature originali. Non vi è la pretesa di spingere troppo sul colore e il bianco e nero. L’interesse riservato alle persone e alla vita quotidiana è strettamente saldato al concetto che Barca ha della fotografia: desiderio di un lascito per le generazioni future con tutto il valore del documento storico. Barca è un “cultore di storia patria” e chi come me lo fa per mestiere, sa quanto siano fondamentali le fonti: orali, archeologiche e anche fotografiche per la ricostruzione degli avvenimenti. Io e i miei colleghi archeologi e storici ci danniamo la vista e il respiro sull’analisi delle fonti; pertanto, avere chi ha a cuore tali aspetti è un sollievo. I suoi sono “istanti” che racchiudono, in un passo o in un volto o in un angolo di vita di paese, la testimonianza di ciò che è, ma che tale è perché dietro vi è una sedimentazione di memorie e usi e tradizioni. Il fatto che il non- fotografo abbia il piacere di fermarsi a far due chiacchere con gli anziani che spesso vediamo immortalati nelle sue immagini, è l’amore per la conoscenza e la ricerca che raccoglie come semi da custodire in una banca dati della memoria. Gli affetti entrano in scena nella visione fotografica di Barca, che ripensa al lavoro e alle immagini scattate in quel periodo. Esse si legano nel ricordo, alla vita insieme alla moglie Marinella Conti e al sigillo d’amore di una Canon; all’amore di padre per le figlie che lo sostengono e al desiderio di un nonno che vuol lasciare qualcosa di buono con il sapore dei grani antichi. In realtà, negli “istanti siciliani” sono presenti tutti questi aspetti e vi è anche l’attenzione per un’immagine ben riuscita nella composizione, nella linearità di ciò che vuol dire e nella immensa umanità che riesce a trasmettere. Non sorprende quindi che la chiusura dell’incontro di Alfio Barca sia stata riservata alla visione di alcuni documenti fotografici d’epoca, per ricostruire le modificazioni urbane e antropiche del nostro territorio. Chi coltiva memoria non può tralasciare i dettagli che sono fondanti per narrare la nostra storia passata e farne tesoro per la miglior messa appunto del presente – soprattutto questo presente – un archivista ci vuole, e Alfio è questo: un archivista a cui non sfuggono gli istanti più preziosi.
Dal non-fotografo passiamo all’incontro con il fotografo Rocco Bertè, il quale esercita la professione da moltissimi anni. Anzitutto, mi preme dire che Bertè è bravo, attento, in costante aggiornamento e ci tiene a far bene il proprio lavoro. Avvezzo alla tecnologia ha saputo giocare la carta della promozione sui social con pagine dedicate alla fotografia. Domenica 5 ha indossato i panni – si è cambiato e non è rimasto in pigiama – del documentarista perché ha presentato due reportage: uno sulla Settimana Santa di Enna e l’altro sulla raccolta del frumento nella Valle dell’Alcantara. Prima di andare all’analisi, bisogna porre l’accento sul fatto che Bertè, avendo maturato notevole esperienza nel campo professionale, ha anche tenuto dei corsi di fotografia e ancora oggi i suoi allievi lo ringraziano, anzi secondo me se tornasse ad organizzarli la partecipazione sarebbe assicurata. Bertè infatti unisce la competenza alla chiarezza nell’espressione dei concetti sulla tecnica fotografica senza tralasciare il piano umano. È un ottimo insegnante e non è assolutamente scontato dirlo. Si crede che lui abbia l’etichetta del “fotografo paesaggista” perché negli ultimi anni ha direzionato la fotografia nel catturare le mille sfaccettature di angoli non solo siciliani ma del mondo. In realtà, ieri ha mostrato che etichettarlo non lo rappresenta. Anzitutto, la tecnica è importante, poi l’uso del grandangolo per entrare dentro le scene “empaticamente” come ha asserito durante la diretta; composizione e studio sono importanti ma bisogna saperli miscelare con le emozioni. Solo chi ha macinato strada ed esperienza può farlo e Bertè, può permetterselo. Andiamo al fatto che lui ami “pensare a colori” e che le sue foto escano a colori, ciò non vuol dire che non abbia avuto visioni in bianco e nero ed io che ci ho collaborato posso assicurarvi che fa delle magnifiche foto in bianco e nero. Sa padroneggiare la luce e se sai fare questo puoi avere il sacrosanto diritto di esprimerti secondo la tue indole. Non vedrei mai un’assenza di colore nelle sue immagini. La sua sperimentazione è basata sulla luce e sul colore che hanno reso note le sue foto su isola Bella o le notti isolane; certo in post produzione, la foto ha una riscrittura ma senza esagerare, senza calcare la mano con gli artifici. In fondo, anche un visagista, che sa fare il proprio mestiere, attraverso la sapiente miscela del trucco rende una donna una dea. Se la base è buona, valorizza ciò che già Madre Natura offre. Io vedo Rocco Bertè come un visagista che rende il meglio di ciò che fotografa.
Inoltre sa osare e ieri, nella presentazione dei due progetti, ha mostrato come nonostante le difficoltà sul campo si possa «tirare fuori una buona fotografia» per usare le parole di Angelo Savoca, amico e appassionato di fotografia. Come ad esempio, la foto della gamba che si mostra sul sagrato della chiesa ad Enna: un fuori campo che entra in scena a far parte degli attori, che sono i confrati. Oppure altri passaggi cultuali dove l’uso di un colore che rammenta certe scene filmiche alla Tornatore. E ancora, quelle spighe di grano, che diventano aghi nei nostri occhi tanto la foto è andata dentro alla narrazione di una tradizione, dove i giovani non ci sono quasi più e i vecchi sono rimasti gli unici depositari di un’arte antica.
La fotografia cambia e si movimenta in maniera differente, anche quella di Bertè lo fa, tuttavia la danza che riesce a far fare al colore è unica e definisce il suo stile. Potrebbe confermarvelo anche la sua signora e padrona la micia Belle; è lei che pone l’imprimatur ai suoi lavori.
Un’altra settimana è trascorsa ed ha visto una volta di più la fotografia protagonista con i suoi uomini e le sue donne. Un appuntamento “CAMERE CON VISTA” che non dovreste perdere, quindi: Stay tuned & Cia putemu fari!