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giovedì, Gennaio 23, 2025

LA FOTOGRAFIA AL TEMPO DEL COVID-19. “CAMERE CON VISTA”: ROGIKA

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Foto di Rogika

Settimana Santa, in un’epoca intrisa di lacrime e sangue. Il 2020 ci sta segnando e insegnando a frequentare un Linguaggio differente, dobbiamo necessariamente calarci in altri panni, dismettere i vecchi tessuti di perbenismo, ipocrisia e “corsa al fare per ottenere”. Il periodo, che ci sta facendo macerare lentamente dentro le nostre pseudo certezze, rendendole carta buona per pulire i vetri, è della sopravvivenza più assoluta. Occorre rifondare tutto e bisogna ripartire dalle parole.

“CAMERE CON VISTA”, giovedì 9 aprile, ha visto Roberto Mendolia, ospite nella chat room social, insieme agli inseparabili di “Taoclick”: Rocco Bertè, Augusto Filistad, Alfio Barca e Lillo Laganà a far andare tutto per il giusto verso. Gli incontri, che hanno l’intento dichiarato di porre al centro e lateralmente e in maniera trasversale la fotografia, non si limitano a mostrare immagini ma hanno l’urgenza di affrontare narrazioni da prospettive diverse: quelle di chi la fotografia la esercita come professione o per passione o soltanto come un vezzo curioso.

“CAMERE CON VISTA” ha scelto le parole come inni di una battaglia in questa guerra devastante dove tutto è già diverso “hic et nunc”: #contagiofotografico e #iorestoacasa. “JonicaReporter” e il suo direttore Valeria Brancato, una volta di più e con convinta determinazione, a sostegno dell’iniziativa.

L’appuntamento di giovedì 9 ci ha permesso di ascoltare Roberto Mendolia (Rogika) con la “sua fotografia”. Desidero dire, anzitutto, che seguo il lavoro di Rogika da molto tempo e di lui ho scritto molto, quindi potrebbe sembrare che tutto sia stato già detto. Invece, il non detto traspare ad ogni emissione di immagine e parola per chi ha fatto della fotografia un modello di vita attraverso la scrittura “di e con” la luce. Quindi dirò di Rogika, riferendomi a lui non come fotografo perché non lo è, ma è uno che usa la macchina fotografica come strumento per dire e scrivere. Rogika, a mio avviso, è un autore nel senso più pregnante che questa parola contiene e trasmette. Un autore perché nel suo percorso ha deciso di affrontare la realtà e di tradurla come fosse un testo a tutti gli effetti. Galileo vedeva nella Natura il più completo libro sacro da tradurre attraverso il metodo scientifico e Rogika utilizza lo strumento della macchina fotografica e della tastiera di un computer – sarebbe bello vederlo tornare all’analogico che lo permea sempre come un destino e trovarlo a scrivere con quell’Olivetti, che si intravede durante le dirette “Facebook” da casa sua – per narrare la sua visione del mondo e darne interpretazione con un piede nel passato, e le mani che si aggrappano al presente per dire ancora: «Sono vivo. Siamo vivi!».

Giovedì ha scelto di mostrarsi a partire dal suo progetto che non è un catalogo ma un testo: “Teorema Sicilia”. Su di esso non dirò di più di quanto io non abbia già espresso nella recensione che ho scritto per il giornale all’uscita del volume. Rogika frequenta da tempo le vie del Bianco e Nero, ciò gli offre l’opportunità di far emergere le anime di quelli che non ci sono più tuttavia ancora ci parlano, perché hanno consigli da darci. Il suo rapporto con la letteratura è di un’evidenza fulminante. In “Teorema Sicilia”, tutto è viaggio sospeso tra immagini dell’Isola e danza letteraria. Le parole qui sono visioni e citazioni da testi che sono testamenti. Le anime parlano; il Bianco e Nero conferisce loro sostanza di spettri autorevoli. Siamo circondati dai fantasmi che non sono nostri nemici ma numi tutelari. Lo sapeva bene Luigi Capuana che, durante le sue sperimentazioni fotografiche e le sue frequentazioni con Émile Zola, si avvicinò alla fotografia, superando Verga e De Roberto, al fine di entrare nel campo delle ombre attraverso lo spiritismo e la fotografia del paranormale. Rogika conduce da tempo un interessante studio sul mondo degli scrittori fotografi e i tre siciliani, costituiscono una delle prime pagine scritte sulla inalterabile unione tra letteratura e fotografia. Da lì, altri si sono aggiunti: Sciascia e Scianna ad esempio, sino ad oggi dove ha ragione Rogika: «Si scrive si posta anche la foto e poi magari non leggeranno quello che hai scritto ma guarderanno la foto». Perché nel mondo dell’Homo videns, in realtà, si guarda ma poco si osserva, quasi per nulla si legge. Quando parlo di lettura, mi riferisco alla comprensione testuale, alla decifrazione e alla riconsegna del senso a noi. Numerosi scrivono, ma la lettura è diventata quasi un esercizio salottiero. Eppure, è una delle armi per dare risposte ma soprattutto porsi delle domande. Orbene, Rogika è per questo un autore: la sua è una fotografia autoriale che cammina in simbiosi con la scrittura. Ne parlo con convinzione perché leggo ciò che scrive e mi auguro che presto veda la luce in un abbraccio tra “le immagini e le parole” come ama spesso dire. Un autore che ha uno stile non ridondante ma asciutto, pulito, preciso. Descrittivo al punto giusto; attento alle pause e alla punteggiatura, entra in profondità dentro alle cose. Lo ritrovate, il medesimo stile, nelle fotografie. La narrazione ha il valore del racconto ma ritengo che passerà al romanzo molto presto. “Teorema Sicilia” è stata una prima prova ed ha preso in prestito le parole degli altri; userà le sue al prossimo giro, ne avverte tutta la carica di significato, l’urgenza. Gattopardiano, il pensiero, con il rammarico di qualcosa che sembra sparito del tutto e lui si ostina a tirar fuori da crepe nei muri, cornicioni di case, speranze negli occhi, linee delle mani e delle strade di Sicilia. Va a caccia dei fantasmi, Rogika, li vuole incontrare e vuol farli parlare, per aiutarci a ritrovare la strada e farci vedere che ancora siamo in tempo per recuperare. Rogika si muove alla maniera dei Veristi senza avvicinarsi troppo al Neorealismo. Non è quello che gli preme, lui deve trovare i fantasmi e farsi narrare storie, non dire per forza e ad ogni costo ciò che è; quello lo lascia agli storici e ai reporter. Lui è un autore e si muove nel campo della letteratura fotografica e della fotografia letteraria.

L’incontro dal titolo “La mia fotografia” ci ha aperto anche altre finestre su di lui: l’uso della “Fotografia di strada”, le etichette che mai devono darsi ad un autore e quindi il mostrarci anche la prospettiva del mondo a colori. Qui le scelte hanno metodo, c’è studio, letture e tante, riflessioni in angoli di solitudine che sono scelte di stile perché Rogika ha il suo stile e lo stile – come ripeto spesso agli autori con i quali collaboro – è la nostra impronta digitale. Ciascuno ha il proprio, e non imitabile, sebbene chi vuol apprendere prima deve anche imitare lo stile dell’altro. Rogika è maturo ed ha il suo stile. Il suo Bianco e Nero, che riporta indietro i fantasmi, è suo e di nessun altro. La scrittura, anch’essa in Bianco e Nero, racconta ciò che le voci antiche gli sussurrano.

Esiste pure un Rogika “a colori” ed anche qui c’è il rapporto di coppia solido e infiammato con la letteratura, la storia e la fotografia. Fotografa come un “writer” e un graffitaro quindi è uno “street writer”. Mi perdonerà se qui non lo “definisco” “street photographer” ma è un autore e dunque mi andrebbe stretto considerarlo così. Colori che oscillano tra macchie sui muri e delimitazioni di spazi urbani. L’architettura e i suoi artefici lo sollecitano sempre. L’interesse ai “non luoghi”, tra i quali i centri commerciali, e la modificazione del linguaggio ad uso commerciale e pubblicitario: la realtà si mostra a Rogika nei suoi messaggi attuali. Il superfluo, la ricerca di un appagamento attraverso il bene materiale, la speculazione psicologica sui soggetti e la varia umanità che trasuda, muovendosi tra gli scaffali. Vecchi soli e famiglie spaesate. Radici che provano a resistere e sradicamento epocale. Le città gli suggeriscono anche il canto dei poeti della musica: Guccini, Dalla, ma anche Tenco, Conte e Battiato e Olivia Sellerio; in un caleidoscopio armonico di versi che si imprimono nelle immagini e tornano a riversarsi nel suono. Tutto ciò è un complesso universo linguistico, e Rogika è un autore. Ed è un portiere di notte perché questo fa con grande dignità per campare e lo fa con professionalità che gli proviene da retaggi familiari che hanno fatto dell’accoglienza uno stile di vita. Un altro tassello. Rammenta i portieri di notte e le portinerie di Simenon. Certo ama fotografare in diurna: la luce è tutto ed è quella che scrive l’immagine; ama il grandangolo quando vuol narrare “veristicamente” ciò che ha di fronte. Esiste però un’immagine, offerta a noi giovedì pomeriggio, ed è stata scattata di notte, in hotel. Nell’ora tarda dove tutto è sospeso e appannato dal sonno degli altri. Lui riesce a sentirli quei respiri e li vede quegli occhi che roteano veloci nel sogno, sotto le palpebre. In quella foto “hopperiana”, che mi ricorda anche gli interni di Roberto Cotroneo, non vi è solo il primo desiderio di un omaggio a Edward Hopper – Rogika coniuga anche la pratica dell’arte – ma vi è l’espressione più intima della sua natura: riflessiva e riservata che si muove in punta di piedi per non disturbare e quasi tende a sparire perché a parlare devono essere i fantasmi.

Allora mi chiedo: “Il personaggio è ancora in cerca d’autore o ha superato quel limite? Il personaggio è divenuto più corposo dell’autore stesso, facendosi autore a sua volta?”. Esercizio retorico, il mio, poiché Rogika è andato oltre il padre, Roberto Mendolia, e come nel romanzo di Pirandello, Il Padre dice:

Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre, chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai! Guardi: la mia pietà, tutta la mia pietà per questa donna (ìndica La Madre) è stata assunta da lei come la più feroce delle crudeltà!

Rogika staccatosi dal padre, Roberto Mendolia, ha interpretato le parole e ne ha fatto il lastricato per la “sua” di strada, che è quella di un autore.

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