Io e Peppe Gambino – che da ora in avanti chiamerò “Peppuzzo” come lui mi chiama “Lisuzza” perché un grande affetto mi unisce a lui e alle sue “Principesse” – ci siamo conosciuti a gennaio di quest’anno. Era il 24 gennaio, lui era ospite di “Taoclick”. Insomma, una delle trovate di quei fuori di testa, che vogliono per forza parlare di fotografia, e che solo una fuori di testa come me, avrebbe potuto assecondare. Peppuzzo ha presentato “SUDDENLY” e ci ha fatto stringere le viscere ed emozionare; ci ha fatto guardare dritto negli occhi della malattia, ma ci ha fatto anche passeggiare nel suo mondo e nella sua testa, con la sua idea di “fare fotografia”. Sapete come vanno queste cose, sapete che sono selvatica e quando vedo le merdate del mondo, io non riesco a star zitta e mi incazzo. Ma mi piace proporre e non aumentare la salivazione “pi fari sputazza”. In quell’occasione, io, Peppuzzo, Laura, Maya e Luna è come se ci fossimo riuniti, dopo anni che non ci vedevamo. Loro mi hanno adottato – spero non se ne pentano, giuiuzzi mei, cu sta strammata – e ci siamo lasciati con la promessa di stare presto insieme, in famiglia. Sarei dovuta andare a Palermo. Abbiamo tanto da progettare insieme e poi, perché gli inviti si accettano con gioia e gratitudine. Poi è arrivato “sto cazzo” di Covid-19 e ha scombinato i piani. Noi, però, sappiamo aspettare, non ci abbattiamo e manteniamo le promesse. Siamo gente di parola e di cuore semplice. Luna mia, che riesci a conversar con le stelle e le creature del mondo, io verrò presto da te per far magie. Staremo insieme e ci scambieremo le nostre bacchette magiche. Luna mia, sei nel mio cuore, incastonata come una gemma preziosa e presto ci abbracceremo. Parola di piccola Lisa a grande Luna!
Dicevo, era il 24 gennaio, dopo qualche giorno, ho scritto il consueto approfondimento. Ora dovete sapere, che ci sono articoli che in me hanno un effetto strabordante e straripante – inteso emotivamente – quindi, ho scritto il contributo, ma in un mare di lacrime: prima, durante e dopo. Gioia, preoccupazione, affetto, rabbia per l’ingiustizia, tutto assieme mescolato. Una bomba. Scrivevo e piangevo, piangevo e scrivevo.
In quell’occasione, ho posto in evidenza alcune informazioni su di lui e alcune sue dichiarazioni. Ne riporto qui di seguito qualcuna come promemoria, estratta dall’articolo su “JonicaReporter” del 27 gennaio.
«Nato a Palermo nel 1979, nel 2005 trova nella fotografia il suo mezzo d’espressione. Si interessa di fotografia documentaria e reportage sociali. Al centro del suo lavoro c’è la sua terra: la Sicilia, della quale ama descrivere il territorio e le persone che vivono al Sud. Ha iniziato da autodidatta, studiando le foto dei grandi Fotografi e col tempo ha perfezionato la tecnica frequentando letture portfolio e workshop di Angelo Maria Turetta e con il Fotoreporter Valerio Bispuri. Dal 2016, fa parte dell’Associazione “Eikon Culture” con la quale ha partecipato con il progetto “HospITALYti” ad una esposizione a Porto Empedocle e a San Benedetto del Tronto».
Peppuzzo, quel pomeriggio all’archivio storico di Taormina, ha dichiarato anche:
La fotografia è per me, saper raccontare. La mia fotografia è mettere in luce la realtà sociale. Ogni mio progetto è collegato ed è narrazione. Uso il bianco e nero. Magari è un bianco e nero “sporco”. La tecnica, una volta acquisita la abbandoni. Vado di pancia. C’è poca postproduzione nelle mie foto. Ho iniziato a usare la macchina fotografica per la fototerapia. A tredici anni, la perdita del papà, mi ha sconvolto tantissimo, ero diventato un ribelle. Poi ho abbandonato la fotografia ma l’ho ritrovata a partire dal 2005 e da allora ha fatto parte della mia vita. Nel 2010, ad esempio, mi sono occupato d’immigrazione, in collaborazione con la “Croce Rossa”, entrando dentro la realtà dei centri. Nella Missione di “Biagio Conte”, con cui ho collaborato, ho incontrato Augustine e me lo sono portato a casa. Lui ha vissuto nella mia famiglia ed è diventato parte di essa. Ha insegnato l’inglese alle mie figlie e loro gli hanno insegnato l’italiano. Da qui, è nato il documento visivo e la storia su questo ragazzo nigeriano. La mia fotografia è semplice e deve arrivare. Augustine ha una storia pesante. Scappato via dal suo paese quando è arrivato in uno dei lager libici ha subito torture fino allo scalpo con un machete. Fuggito dalla sua terra perché omosessuale, passato dalla Libia e trattenuto, si è ritrovato a stare rinchiuso in un campo che era un lager. Poi riuscito ad abbandonare la Libia, è sopravvissuto al naufragio del barcone che li trasportava, ed è stato mandato in uno dei centri di accoglienza, che spesso poco hanno dei requisiti richiesti. Augustine porta sempre il cappellino e sente sempre freddo, ma oggi ha ottenuto il permesso per l’asilo politico come “rifugiato” e lavora. Ci sentiamo e non finisce mai di ringraziarci per quello che abbiamo fatto. Questa per me è l’interazione e l’integrazione, e questo documento attraverso le mie foto.
«Gambino ha frequentato importanti corsi di fotografia in giro per l’Italia, legge e studia tanto. Tra i suoi ispiratori c’è Ansel Adams, fotografo statunitense, che ha reso la fotografia paesaggistica, poesia. Adams nel 1932 fonda il gruppo f/64. Il nome indica la minima apertura del diaframma, una tecnica difficile, che consente di allargare la profondità di campo, ridurre lo sfumato dello sfondo, e massimizzare i dettagli della foto. L’intento del gruppo è quello di cercare di riunire tutti gli esponenti della “Straight Photography”, come Edwards, Holder, Lavenson e Kanaga. Inoltre per Adams “ogni fotografia è il riflesso del proprio autore. Più egli studierà, scatterà fotografie, leggerà libri, guarderà film e ascolterà musica, più crescerà in quanto essere umano e il risultato farà la differenza. Nessun altro potrà ottenere la stessa fotografia perché avrà un retaggio talmente diverso e una personale gestione dello scatto”. Nella “Straight Photography” è molto importante lasciare integra la fotografia, senza sottoporla a superflue manipolazioni digitali. Analogo l’intento di Gambino, che ha sicuramente studiato il lavoro di Adams sulla detenzione delle minoranze di origine nipponica. Una visione della fotografia che ritrae la realtà ma che ne sottolinea gli aspetti di positività e di bellezza. Un altro mentore, per il fotografo palermitano, è Vito Finocchiaro – che era presente in sala ed ha dichiarato: “Peppe è un mio amico. Ed ho pochi amici. Peppe ha coraggio. Il fotografo deve mantenere una certa distanza. Ma in questo caso ha fatto la scelta più giusta per raccontare Luna”».
E torno a dire ancora del legame con Peppuzzo. Noi ci scambiamo saluti, idee, ci teniamo, saldi, in contatto. Ho bisogno di sapere che stanno bene, tutti loro, mi devono dare notizie o mi preoccupo. «Come stanno le ragazze, e Laura e tu, come state?». Se tarda troppo a rispondere, “matruzza bedda!” divento peggio di una zia “zitella”. Ah vero, oggi si dice “Single” ma io mi sento una sorella e una zia per loro.
Così l’altra volta, tra una notizia e l’altra, ho detto a Peppuzzo che avrei voluto intervistarlo, perché mi sarebbe piaciuto sapere come lui stesse affrontando sta faccenda del virus.
Intanto mi ha detto:
Ho ripreso a studiare Fotogiornalismo e ad immaginare nuovi progetti, ma tutto questo isolamento lascerà dei segni su ognuno di noi e ci vorrà tempo per cancellare paure e insicurezze… Ho documentato questo periodo ma poi ho avuto un blocco emotivo… So come ti senti… Passerà Lisa… Il tempo guarisce tutto…
Tra amici ci si confida, e tra persone di famiglia ci si scambiano i pensieri, le paure, e la voglia di farcela ad ogni costo. Bisogna non perdere di vista, chi ci sta a cuore. Ci vuole un cuore immenso in questo periodo, un cuore grande quanto tutto il mondo, ma noi, intanto, partiamo dai nostri di cuori affratellati.
Ecco allora, che tra un impegno e l’altro, tra i pensieri e le incombenze, tra i dolori da stress che per ora, tutti abbiamo, ne è venuta fuori questa chiacchierata. Le classiche tre domande alla “Bachis”, a cui Peppuzzo ha risposto volentieri:
Nonostante la pesantezza data da questa pandemia, stai lavorando a qualche progetto fotografico particolare?
Dopo la presentazione a Taormina del mio long project “Suddenly” che affronta il tema dell’epilessia, ho continuato a documentarmi e a tessere contatti per cominciare il secondo capitolo di “Suddenly” sulla Ricerca e le terapie sperimentali in campo epilettico. Purtroppo, la pandemia ha rotto tutti gli schemi e i programmi fatti, e ho dovuto riorganizzare il mio metodo e il mio approccio a questo progetto, parallelamente però questa crisi mi è servita per occuparmi del sociale nella mia città, Palermo. Mi sono documentato su quello che stava accadendo e sulle ripercussioni sociali che stava causando. Ho chiamato Francesca, un’amica, una donna che del sociale ha fatto il suo motto di vita, mettendomi a disposizione delle associazioni scese in campo per aiutare tutte quelle famiglie, soprattutto nelle periferie e nel centro storico, che con il “Lockdown” si sono ritrovate senza reddito. Ho trascorso un’intera mattinata presso l’associazione “Kala Onlus”, che insieme a “SOS Ballarò”, si è occupata dell’emergenza alimentare grazie al lavoro di uomini e donne come: Valeria Leonardi, Giuseppe Bova, Marco Sorrentino e Massimo Castiglia, coadiuvando un esercito di volontari come Francesca Leone, Marina, Giulia, Melania, che hanno distribuito dalla mattina alla sera generi alimentari. Ho sentito la necessità di dover documentare tutto quello che questa pandemia stava causando per levare dalla testa della gente, che è la “Mafia” che fa la spesa in questi quartieri, quando la realtà di fronte ad un Stato assente o in ritardo è un’altra: quella delle associazioni dei cittadini onesti, che creano comunità e credono nel cambiamento.
La tua fotografia ha sempre uno sguardo sul sociale e sulle fragilità umane, quanto la tua famiglia ti sostiene in questo?
Sono una persona con un carattere molto introverso ed “estremamente” sensibile. Non riesco ad esternare le emozioni con la parola o la scrittura. La fotografia mi ha aiutato a superare questi limiti, a indagare l’animo umano, ad entrare dentro le storie e a viverle, lasciando sempre qualcosa di me; prendendo a mia volta tanto, dalle esperienze vissute, per trasformarle sempre in messaggi positivi anche laddove c’è sofferenza e dolore. In questo percorso, Laura, la mia compagna di vita mi ha sempre sostenuto e incoraggiato a continuare a fare quello che sentivo, a essere sempre curioso e con lei anche le mie ragazze: Luna e Maya.
Vorresti offrire dei suggerimenti per la ripartenza?
Il “dopo Pandemia” porterà senza dubbio dei cambiamenti sociali e ognuno di noi dovrà di conseguenza rimodulare la propria vita, seguendo determinate regole: distanziamento sociale, uso delle mascherine e spostamenti ridotti. Ponendo dentro il quotidiano tanto buon senso e responsabilità per poter ritornare lentamente alla nostra “libertà”. Voglio aggiungere anche un altro suggerimento: uscire dalla propria Comfort Zone, ascoltare di più. E aiutare chi è più fragile e in difficoltà.
«Peppuzzo, io ti ringrazio. Noi ci sentiamo presto e salutami Laura, le “picciridde” e Kira, la gatta.
Vi voglio bene,
Zia Lisa».