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Leggere per R-Esistere: Antonino Uccello e “La civiltà del legno in Sicilia”

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Nel corso degli anni sono andata raccogliendo, come si fa per le provviste durante i periodi più bui, testi vari. I miei interessi spaziano mossi da perdurante curiosità ma si concentrano soprattutto sulla memoria e la tradizione della Sicilia, nonché sulla storia in genere, sulla filosofia e sull’arte. Naturalmente, immancabile è la letteratura italiana e straniera.

Il testo di Antonino Uccello lo acquistai tanti anni fa, penso che oramai possa dirsi da collezione ed ha tutte le caratteristiche del testo raro. La prima edizione è del 1973 ma enne ripubblicato da Vito Cavallotto nel 1992. Il corredo fotografico e i disegni sono rigorosamente in bianco e nero. Le foto sono di Giuseppe Leone; i disegni tipologici di Michele Canzoneri; la copertina e la grafica sono a cura di Stefano Cammarata. La copertina rigida e le pagine di ottima fattura hanno il profumo del tempo che scorre, si fissa sulle pagine, ne assorbe gli umori e li restituisce a chi non solo vuol leggere ma vuol fare esperienza completa e multisensoriale del libro. Antonino Uccello non era solo un etnografo, sarebbe riduttivo definirlo così. Egli era un poeta e un pensatore e al suo rientro in Sicilia dal Nord Italia decise di istituire una casa Museo, che nell’anno della sua scomparsa, il 1979 fu chiusa, ma poi riaperta a Palazzolo Acreide.

 

L’autore de La civiltà del legno in Sicilia come avvertenza al testo scrisse:

… le persone, gli oggetti, la campagna di cui parlo non costituiscono per me una tarda riscoperta attraverso il filtro della cosiddetta scienza demologica. Gli uomini appartengono alla mia stessa estrazione di contadini e braccianti; gli utensili e gli attrezzi di lavoro sono spesso quelli dell’uso quotidiano che ho visti in opera sin dalla prima infanzia; i luoghi son gli stessi che mi hanno visto nascere, che ho dovuto abbandonare, e ai quali sono ora forse definitivamente tornato. Uomini luoghi manufatti, prima di costituire documenti etnografici o espressione d’arte, o l’una e l’altra cosa a un tempo, sono stati per me lo scorrere della stessa vita.

 

Mi piace proporre, di tanto in tanto, alcuni dei tesori che custodisco e dirne con pacata lentezza come si confà a ciò che ci appartiene ma è altrettanto lontano. Quasi che la cronologia classica a cui siamo febbrilmente legati si annullasse in un’evaporazione spaziale.

 

La biografia di Antonino Uccello a cura di Luigi Lombardo – «Antonino Uccello nasce a Canicattini l’11 Settembre 1922. Compie gli studi magistrali a Noto, dove pubblica i primi versi di poesia. Nel 1944 sposa Anna Caligiore e si stabilisce a Palazzolo. Emigra nel 1947 in Lombardia e insegna nelle scuole elementari della Brianza. Nelle fredde nebbie del Nord nasce e si precisa l’idea della Casa-Museo. Nasce da profondi motivi e urgenze che lo incalzano già da anni: la perdita di un patrimonio culturale da parte di un popolo, quello siciliano, avviato in quegli anni verso un tragico e devastante esodo. Da qui nasce la voglia, la “missione” tutta laica di salvare gli oggetti di una cultura destinata alla scomparsa. In Brianza Uccello porta tanti oggetti della civiltà contadina e li presenta in mostre d’arte presso famose gallerie del Nord. Questi oggetti (cucchiai in legno, collari, presepi in legno d’arancio, chiavi di carretto, sculture in ferro “fiori” del carretto) facevano la spola fra Palazzolo e la Brianza. Pubblicò i primissimi versi a Noto: furono i suoi compagni di scuola a “sponsorizzare” le sue liriche giovanili. Ma fu in Lombardia che si formò come poeta di raffinata cultura: a Milano frequentò i cenacoli culturali che si stringevano attorno a Elio Vittorini e intrecciò amicizie con Ernesto Treccani, Piero Chiara, Luciano Budigna, Ugo Bernasconi, Tono Zancanaro. In questo periodo escono le prime raccolte di POESIE: Sulla porta chiusa (1957), Triale (1957), La notte d’Ascensione (1958). Nel 1959 pubblica per i tipi di Vanni Scheiwiller Canti del Val di Noto, che segnano il suo progressivo orientarsi verso la ricerca etno-antropologica. Sotto la spinta dello studio della poesia popolare e di una serie di rilevamenti sul campo per conto dell’Accademia di Santa Cecilia e del Centro Nazionale Studi Musica Popolare di Roma, ma soprattutto con l’affinamento degli strumenti critici a seguito della lettura dei “Quaderni dal Carcere” di A. Gramsci, esce il primo vero studio di taglio antropologico, anche se ancora una volta orientato allo studio della letteratura popolare, Risorgimento e società nei canti popolari siciliani (1962, ristampato nel 1978): sorta di antistoria del Risorgimento italiano. Nel frattempo (1960) Uccello ha posto fine alla permanenza nel Nord Italia e ritorna nella sua Palazzolo, dove acquista un antico palazzo (Palazzo Ferla, sec. XVIII). Qui trasporta quegli oggetti raccolti nell’area iblea in attesa di una definitiva sistemazione. Nel 1965 pubblica un altro studio di poesia popolare Carcere e mafia nei canti popolari siciliani, libro che suscitò una ridda di polemiche per il tema trattato e in quanto si collocava fra quegli studi che presentavano un diverso volto del Risorgimento italiano: quello visto attraverso l’ottica dei vinti. Coerente agli allora prevalenti interessi negli studi demologici orientati verso la letteratura e l’arte popolare pubblica il volume Pitture su vetro del popolo siciliano (1968). Gli anni che seguono immediatamente sono impiegati da Uccello nella realizzazione del suo “capolavoro”: la Casa-Museo di Palazzolo, inaugurata nel 1971. Da questo momento la ricerca di Uccello si precisa impegnandosi nello studio dei diversi aspetti della cultura popolare, soprattutto contadina: escono in rapida successione La casa museo di Palazzolo Acreide (1972), La civiltà del legno in Sicilia (1973), dedicato all’arte lignea dei pastori e alla cultura contadina iblea, Amore e matrimonio nella vita del popolo siciliano (1976), Tessitura popolare in Sicilia (1978), Pani e dolci di Sicilia (1978), Il presepe popolare in  Sicilia (1979), Bovari pecorai e curatuli. Cultura casearia in Sicilia (uscito postumo nel 1980 e pubblicato dagli Amici). Uccello muore il 29 Ottobre 1979. È sepolto a Canicattini Bagni».

 

La sinossi del testo nella seconda di copertina – «Probabilmente, questo libro di Antonino Uccello è un libro di devozioni, un libro cioè di amore e di culto, di rispetto e di riconoscimento. È anche un libro di ricerca e di ricostruzione: un’operazione che ha come sua caratteristica di essere effettuata dall’interno medesimo del mondo contadino, non limitata dunque alla solita e quasi ovvia riconsegna al pubblico di prodotti anonimi. Qui, viceversa, si tenta una individuazione che è psicologica e insieme storica, poiché ci viene dato assieme al prodotto anche colui che ne è l’autore per pervenire in tal modo alla ideologia di base. Non sempre, tuttavia, i propositi di un autore possono coincidere con gli interessi dei consumatori. E il rischio di questo libro, come gli altri libri di Antonino Uccello, può essere precisamente che esso venga utilizzato come una guida di antiquariato. Poiché il libro vuole essere altro – ed è altro. Esso è anzitutto un tempo ritrovato, cioè riscoperta di una dimensione umana, di un modo di vita e di una concezione del mondo. Non è dunque un itinerario archeologico, poiché non si tratta soltanto di incontrare un insieme di consuetudini e di tecniche concernenti i contadini iblei. Ciò che emerge dal libro è un sistema totale, cioè una civiltà: è il modo particolare del contadino ibleo di rapportarsi con la terra, è la visione fastosa e nel contempo tetra del lavoro e della fatica tenace. Allora, a questo titolo, il manufatto artigianale non è più – o non è soltanto – il documento sterile di un passato estinto e remoto: è la vicenda laicamente terrestre dei contadini iblei, indica le loro forme di espressione, cioè di interpretazione del mondo. Similmente, il libro perde quella tristezza propria di tutti gli archivi, si anima di vita e di colori e i segni, le immagini, i legni che hanno ancora l’impronta di un vecchio sudore, gli arnesi quotidiani, tutto il materiale repertato, tende a straripare dalla pagina, per ridivenire quello che autenticamente è: il riscontro di un passato le cui radici continuano a far parte di una passione contemporanea».

 

 

 

 

 

 

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