14 febbraio 2022. Un altro anno, un altro giorno, un altro San Valentino.
Eh sì, perché oggi è la festa degli innamorati, ai quali porgo i miei più sinceri auguri. Amatevi e vogliatevi bene, in questo mondo sfranto e privo di direzioni.
C’è chi ci crede, chi lo festeggia per consuetudine, chi per mascherare rapporti freddi o turbolenti. Non mi interessa procedere con disquisizioni sulle vostre scelte, ciascuno avrà i suoi buoni motivi per festeggiarlo oppure per ironizzare e riderci sopra, magari piangendo sommessamente nel buio.
Oggi, in questo giorno dal rosso tradizionale, in cui la cioccolata ha un sapore più buono e i fiori sembrano profumare un po’ di più, ho voglia di raccontarvi due episodi, legati tra loro dal bisogno di affetto e di amore e dalla nebbia della solitudine.
Stamattina, curiosando sulla home di Facebook, mi soffermo come spesso faccio, su nuova perla di Vita con Lloyd. Sapete a chi mi riferisca. Leggo, un altro profondo dialogo tra Sir e il saggio maggiordomo Lloyd, che gli invidio tantissimo pure se io a casa, ho un grande saggio come il gatto Oscar.
«Tu sai cos’è l’amore, Lloyd?»
«Credo che l’amore non sia, l’amore siamo, sir»
«Lloyd, il sentimento è uno solo»
«Eppure, per quanto singolare, l’amore è sempre plurale, sir»
«La grammatica dei sentimenti è molto complessa, Lloyd»
«Ma straordinariamente chiara, sir»
Finita la lettura del testo, mi ci soffermo ancora un poco. So che devo scrivere quelle due storie di ordinaria solitudine in cui nei giorni precedenti mi sono imbattuta. Sto pensiero bussa alle tempie e non mi darà tregua sino a che non lo avrò condiviso con voi.
Per Lloyd l’amore è plurale pur essendo singolare. Parte da noi verso l’altro e viceversa ma ci riunisce in un abbraccio. Forse.
L’altro giorno all’ufficio postale, mentre ero in attesa del mio turno, ho assistito a una scena di cui mio malgrado sono diventata coprotagonista. Un signore anziano, che doveva pagare delle bollette, è entrato e ha letto le nuove disposizioni sul super Green Pass, di cui era provvisto. Quindi ha provato a seguire passo dopo passo i vari suggerimenti per validare l’accesso all’ufficio, solo che il lettore dava problemi nel riconoscere il codice.
Che fai quando qualcuno è in difficoltà? Gli dai una mano, e così ho fatto. Esito positivo. Quella mattina ciascuno di noi, presenti, ha dato una mano insieme al direttore dell’ufficio postale.
Per nostra fortuna, viviamo in un piccolo centro e siamo abituati a darci da fare se qualcuno ha bisogno. Il pregio delle cittadine di provincia del Sud è questo. Sappiamo di essere chiacchieroni e curtigghiari ma se si ha necessità, ci si aiuta, nella maggior parte dei casi. L’aria del paese, qui, ancora non si è dileguata.
Il problema vissuto dall’anziano però mi ha fatto pensare a tanti altri, anche a quelli che anziani non sono ma hanno difficoltà di salute o di spostamento.
Ieri mattina, un altro episodio. Stavo facendo la spesa in uno dei discount che ci sono qui. Davanti allo scaffale delle tisane – che stavo per dimenticare – mi sono ritrovata vicino a una signora anziana, distinta e dall’aria assai pensierosa. Non volendo essere invadente la osservavo con discrezione. Era assorta davanti alle varie confezioni di caffè e a tratti appariva confusa.
Ho atteso un cenno e la signora finalmente con rara timidezza mi ha domandato:
«Signorina ma è questo il prezzo?»
«Sì signora, è questo ed è scontato.»
«Ma secondo lei è buono stu cafè?»
«Signora, può prenderlo tranquillamente, l’ho comprato pure io, è un buon caffè.»
«Quattro pacchi però su assai… e casomai lo regalo.»
«Certo signora, risparmia e può anche regalarlo a qualcuno se non lo consuma tutto.»
Questo è ciò che è accaduto. Ho preso la tisana contro l’insonnia – ‘na botta in testa mi ci vorrebbe – ho salutato e sono andata via. Lei è rimasta lì qualche minuto, a contemplare lo scaffale, ma poi ha deciso di prenderlo il caffè.
Dopo aver pagato ed essere uscita, mentre percorrevo la strada per rientrare a casa, mi sentivo a disagio. Al posto di quella signora un giorno potrei esserci io. A fare i conti sul caffè.
Certo anche adesso in casa mia siamo attenti alla spesa e al risparmio però ancora prendiamo il caffè che ci piace di più perché su tutto possiamo risparmiare ma sul caffè, no! Pure noi approfittiamo delle offerte, lo facciamo e siamo in tanti. A casa mia, diversi l’hanno vissuta la guerra, e sanno cosa significhi un caffè vero e non il surrogato, fatto con l’orzo o la cicoria. Nonostante il tempo che passa, siamo una famiglia. Una grande ricchezza.
Ieri invece, davanti a quello scaffale, ho visto una persona che se non è sola, è molto vicina alla solitudine senza ritorno. La solitudine può essere peggiore della morte. Quando muori a certe cose non ci pensi più, un colpo di spugna e via.
La signora era vestita bene, curata il giusto ma quegli occhi non erano contenti. Erano soli. La solitudine la capisci dallo sguardo, dai gesti e dalla lentezza esasperante, che ti fa strascinare la vita di ogni giorno. Ogni giorno è uguale all’altro e allora ti ritrovi a pensare che pure la marca di un caffè vale un’altra.
Però lì c’era anche la preoccupazione del risparmio. Di farsi bastare i soldi della pensione. Lo sapete come sono tantissime pensioni oggi… Per chi riesce ad averla, la pensione.
Oggi siamo tutti straconnessi e in giro ci sono persone che non lo hanno il computer e il telefonino. Non tutti hanno la fortuna di avere figli o nipoti o amici o vicini che danno una mano.
Qui da noi, ancora ancora, riusciamo a sapere se qualcuno è in difficoltà, ma nei posti più grandi?
Il signore alla posta e la signora al supermercato mi hanno fatto pensare a quanto lavoro dobbiamo fare per non lasciare che il nostro senso di solidarietà ed empatia venga meno. Ogni giorno.
Siamo a rischio di isolamento e solitudine. Ogni giorno. Lo siamo tutti e le obiettive difficoltà di questi ultimi anni hanno mostrato che oltre a San Valentino ci vuole di più.
Ci vuole umanità. Ogni santo giorno.